Il multitasking è devastante per la nostra memoria Società

La circolare prenatalizia del ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, non ha aggiunto nulla di nuovo in materia di obblighi e divieti circa l’uso degli smartphone e dispositivi analoghi a scuola. Nessuna nuova direttiva quindi rispetto a quanto già stabilito dallo statuto delle studentesse e degli studenti del 1998 e dalla circolare ministeriale n. 30 del 2007, i quali stabiliscono il divieto generale all’utilizzo di telefoni cellulari e dispositivi analoghi durante le lezioni. E così come confermato anche dalle dichiarazioni del ministro, la nuova circolare non introduce nuove sanzioni disciplinari, limitandosi di fatto a un solo richiamo alla responsabilità degli studenti e istituti.

L’accento è posto in particolare sul come l’uso sconsiderato di smartphone e dispositivi equivalenti porti a conseguenze dannose su aspetti come concentrazione e memoria. La conferma ci giunge dalle neuroscienze. Quante volte a tutti noi sarà capitato di sperimentare lo sforzo nel cercare di leggere qualcosa e di ritrovarsi perennemente distratti, nostro malgrado, dal minimo stimolo esterno, costretti a leggere tante volte la stessa frase. Una pratica temuta e variamente condannata da oltre un secolo di neuroscienze con l’aggiunta oggidella maledizione del mondo digitale o il multitasking, lo svolgimento simultaneo di molteplici attività.

Gli psicologi ne hanno distinto due tipologie. Il multitasking vero e proprio, per esempio camminare mentre si mastica una gomma, telefonare mentre si guida, studiare mentre si guarda la televisione. Il multitasking intermittente o sequenziale, che consiste nel passare forsennatamente da un’attività all’altra dimodoché, pur svolgendo un’attività per volta, si finisce per spostare di continuo il focus della propria attenzione dall’una all’altra. Esempi sono leggere fermandosi di frequente per scrivere annotazioni slegate dall’argomento di studio, studiare interrompendosi ogni quarto d’ora per controllare le email o i social e altre simili distrazioni di natura tecnologica. Il punto appurato dalle neuroscienze è che la modalità intermittente non è per niente meno rovinosa di quella simultanea. Gli effetti sul nostro cervello sono devastanti: ogni volta che parallelizziamo attività associate a un carico cognitivo ne compromettiamo marcatamente la qualità, aumentano gli errori e riduciamo in modo temporaneo il nostro quoziente d’intelligenza (QI) anche di 15 punti. Ancora peggio, questa scelta non comporta un risparmio di tempo, si è dimostrato che se praticassimo le stesse attività una dopo l’altra risparmieremmo fino al 75 per cento del tempo. Il multitasking è devastante per la nostra memoria e se è possibile con l’allenamento diventare efficienti e coniugare attività meccaniche e automatiche, non lo è più per attività che richiedano memorizzazione. La ragione risiede nell’attentional blink, letteralmente il «lampo» di attenzione, l’atto di raggiungere piena concentrazione su un argomento - confermabile a mezzo dell’elettroencefalogramma - non è affatto immediato, ma richiede svariati minuti di tempo e un notevole sforzo mentale. Passando di palo in frasca, da un’attività all’altra, siamo costretti a doverci riconcentrare, proprio come un aereo in partenza è costretto a spendere tempo e carburante per decollare e salire in quota prima di raggiungere la piena velocità di crociera. Non potrà quindi esserci la benché minima distrazione. Evitare come la peste diavolerie quali tv, email, messaggi, messaggini di qualunque sorta, e soprattutto i social. Alcuni autori consigliano perfino di stroncare il problema alla radice, spegnendo l’intera connessione Internet dell’abitazione. Esagerati? Forse sì, ma la dipendenza da Internet, con tutti i suoi effetti deleteri sullo studio, è diventata una vera emergenza della nostra società. Si pensi che l’Internet Addiction Disorder (IAD) è stato introdotto nel 2013 fra le patologie psichiatriche riconosciute nel DSM, la classificazione psichiatrica più famosa e utilizzata nel mondo. Gli studi osservazionali stimano che il 6 per cento della popolazione globale odierna soffra di questa patologia, 460 milioni di persone; e si tenga conto che sì e no il 40 per cento della popolazione globale ha accesso a Internet. I social si prefiggono di essere quanto più possibile appaganti e di catturare la nostra perenne attenzione. Questo aspetto li rende del tutto incompatibili con il «tempo protetto» dello studio scolastico.

È interessante notare che di recente sono sorte delle app in grado di limitare il nostro accesso ai servizi Internet: stabilito per quante ore intendete studiare, l’app si premura di bloccarvi l’accesso ai social finché il «conto alla rovescia» non si esaurisce; oppure, non vi chiudono la connessione con le cattive, ma mirano piuttosto a fare leva sui vostri sensi di colpa, all’inizio della sessione di studio voi «piantate» il seme di una piantina virtuale, e stabilite per quanto tempo intendete studiare. E che non vi venga in mente di controllare i social o di mettervi a giocherellare anzitempo, perché se lo farete la piantina «morirà» prematuramente per colpa vostra. Diabolico, eh?

Concludendo, i ragazzi a scuola possono detenere il loro smartphone, in quanto docenti e personale scolastico non dispongono dell’autorità per istituire un sequestro preventivo dei dispositivi personali o di perquisire lo studente che, a torto o a ragione, dovesse negare di esserne in possesso, al fine di accertarsi del fatto. Ma attenti a non essere colti in flagrante nell’utilizzo di smartphone e simili durante le ore di lezione. Particolarmente pesanti sono le sanzioni disciplinari e molti istituti prevedono che si arrivi sino all’espulsione, con gravi ripercussioni sul curriculum scolastico dell’alunno. Ergo, il divieto vige in maniera inappellabile solo per quanto riguarda l’utilizzo, mentre il possesso non è regolamentato in alcuna forma da parte delle norme ministeriali. La pratica, sempre più diffusa, della consegna dei dispositivi da parte degli alunni prima dell’inizio delle lezioni, per poi poterne rientrare in possesso al termine dell’attività didattica, è su base volontaria.

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it