Il Natale nelle pagine della letteratura contemporanea Società

La nascita del Bambino Gesù, in Betlemme, evoca qualcosa di indescrivibile ancora nel cuore degli uomini nonostante le sirene della modernità del terzo millennio. Nella letteratura diversi autori hanno raccontato il Natale, la festa che dischiude nell’orizzonte della storia, nei suoi diversi contesti descritti, l’incredibile speranza tra gli affanni e le difficoltà esistenziali.

Tra i primi libri letti da ragazzo, di notevole spessore culturale la memoria mi ha riportato a delle pagine di “Cristo si è fermato ad Eboli”, scritto da Carlo Levi (1902-1975), medico, scrittore e pittore, che ripercorre nel tempo e nello spazio il suo confino, dal 1935 al 1936.

Il romanzo racconta la Lucania, in uno spaccato neorealista e meridionalista Nella sua narrazione, riferita al mese di dicembre, egli si meraviglia che con la caduta della neve, le strade sono particolarmente animate da ragazzi. Si sentono i suoni rauchi dei cupi-cupi, mancano due settimane alla celebrazione de Santo Natale. I ragazzi in gruppo con i cupi-cupi, una sorta di strumenti rudimentali con una specie di nenia, preparano l’attesa al “Principe della Pace”, al fine di ricordare la prima venuta del Signore nel mondo. Nelle strade innevate e fredde, cantano lunghe filastrocche prive di senso, quando le ombre della notte hanno preso il sopravvento, davanti alle case dei notabili del paese.

Sempre leggendo tra le pagine del libro di Levi, si riporta un passaggio sui pastori, che un tempo con le zampogne hanno allietato il Natale in chiesa. In un altro riferimento, riguardante la Vigilia di Natale, il parroco don Trajella giunge in ritardo alla messa di mezzanotte, i fedeli sono fuori ad attenderlo. Il sacerdote dopo aver detto, l’Ite missa est, scende dal presbiterio e si dirige sul pulpito per la predica. Ma è palpabile l’imbarazzo dei fedeli e lo sconcerto del podestà don Luigino, perché il pastore delle anime non trova il foglio su cui ha annotato la sua riflessione, la celebrazione assume un risvolto poco edificante nella Casa del Signore.

Si accorge don Trajella, che accanto al crocifisso c’è un foglio, lo legge, in realtà, si tratta di una lettera di un soldato di Gagliano, pervenuta dal fronte, dall’Abissinia. Il parroco legge le parole del militare per l’avvicinarsi del Natale, mentre il podestà canta “Faccetta Nera”, poi “Giovinezza” con i ragazzi, quel messaggio di pace da un teatro di guerra, viene ascoltato solo dai contadini. E’ un racconto del Natale del Signore tra due concezioni esistenziali contrapposte, la logica del potere, la protervia del podestà ed i contadini compiaciuti di ricevere informazioni dall’Africa.

C’è ancora un ricordo che mi è tornato nella mente nei giorni scorsi, durante l’avvento, il periodo di preparazione alle feste natalizie. Il grande scrittore Ignazio Silone (1900-1978), noto per il romanzo “Fontamara”, ha scritto un racconto, per rievocare le tradizioni natalizie in Abruzzo. Egli ricorda le antiche usanze, presenti pure in altre regioni della penisola e narra l’uso di accendere un ceppo o il cosiddetto ciocco di legno nel camino. Al posto dell’albero di Natale, tradizione nordica, il ceppo acceso, di faggio o di quercia, scorre nei fotogrammi della sua memoria, nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza. Esso arde per l’intera notte, si pongono, inoltre, delle provviste sul desco domestico, lasciando la porta aperta, perché la Sacra Famiglia, in giro per il mondo potesse rifugiarsi, riscaldarsi e nascondersi.

I genitori con la narrazione imprimono dei valori, la Notte di Natale, con la porta aperta e il rumore del vento contro gli infissi della finestra, hanno instillato il rispetto per l’altro, la prossimità evangelica, la solidarietà per i perseguitati. Silone ne “Il ciocco”, ci insegna che nonostante viviamo tempi lontani rispetto a quelli della sua infanzia, il suo narrare si attualizza nella realtà odierna nuda e cruda.

I profughi nei barconi della speranza cercano un approdo sicuro, molti sono nei fondali del Mediterraneo, il “Cimitero del terzo millennio”. Gli uomini, le donne ed i bambini, respinti ai confini della Polonia, i torturati nei centri di detenzione in Libia, le popolazioni più povere non vaccinate dal Covid-19, le immagini raccapriccianti delle guerre, sono la quinta di un mondo senza scrupoli, per arricchire i pochi. Se riflettessimo meglio sulla prosa de “Il Ciocco”, sarebbe sempre Natale e non soltanto il 25 dicembre, per poi dimenticare di avere un cuore, che se non pulsa d’amore, rende vana la costruzione della civiltà di giustizia e di fratellanza.

NICOLA MASTROCIQNUE

nmastro5@gmail.com