Il notaio Ambrogio Romano innamorato di Benevento Società

Eccoci tornati nello spazio dedicato al rilancio dei nostri beni culturali e ai sanniti che si fanno onore nel mondo. Protagonista della nostra intervista è in questo numero il Notaio Ambrogio Romano, personalità beneventana grandemente stimata per il suo impegno professionale e non solo.

Lo ringraziamo per la disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato e a nome di tutta la comunità del Sannio ci complimentiamo con lui per come opera e per la sua fine sensibilità di rotariano nel servire al di sopra di ogni interesse personale.

Notaio Romano, in apertura di questa nostra breve intervista vorremmo sapere da quanto tempo esercita la sua professione, se fare il notaio era il suo sogno nel cassetto e se, ad oggi, si ritiene soddisfatto dei risultati raggiunti?

Esercito la professione di Notaio da circa trent’anni. Ho infatti superato il concorso notarile espletatosi nel biennio 1993/1994 ed ho ottenuto la mia prima sede, collocata nel comune di Montefusco (AV), all’inizio dell’anno 1995. Non so se sia corretto dire che fare il notaio fosse il mio sogno nel cassetto. Sicuramente volevo essere un giurista e non ho mai seriamente considerato alternative al corso di laurea in Giurisprudenza. In origine, tuttavia, ero forse più orientato verso la professione del magistrato, alla quale mi sentivo in qualche modo destinato per tradizione familiare. Magistrato era, infatti, mio padre; prima di lui lo era mio nonno, il quale ricoprì dapprima la carica di procuratore del Re e successivamente quella di procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Benevento; magistrato è stata, in seguito, mia sorella Maria Ilaria, la quale ha perpetuato questa sorta di “vocazione di famiglia”. Anch’io, al termine dell’università, mi iscrissi ad una nota e rinomata scuola di preparazione al concorso in Magistratura. Ne trassi sicuramente giovamento sul piano scientifico, ma ne ricavai, al cospetto del confronto con i docenti e, soprattutto, con i colleghi candidati, una sottile ma decisa sensazione di disagio. Tutti costoro, infatti, mi parevano supportare il proprio anelito all’amministrazione della giustizia con una visione netta e, per certi versi, ai miei occhi, “manichea” delle vicende connesse alla relazione umana, che rendeva loro agevole e naturale distinguere il “giusto” dall’ “iniquo”, la “ragione” dal “torto”, il “bianco” dal “nero”. Io faticavo (forse fatico tuttora) ad avere questo nitore di prospettiva. Di fronte alla crisi della volontà propria delle dinamiche contenziose della dialettica connessa all’autodeterminazione, io mi sentivo portato a scorgere molte “sfumature di grigio”, le quali mi rendevano faticosa l’assunzione del ruolo di decisore insita nella funzione del magistrato e rendevano incerta e vacillante l’acquisizione dell’identità a mia opinione sottesa a detta figura istituzionale. Oggi posso dirmi soddisfatto della mia scelta.

Ci illustra in breve lo stato dell’arte del Notariato in Italia?

Il Notariato gode, a mia opinione, di ottima salute, tanto in Italia quanto in molti altri paesi del mondo. Il modello del Notariato latino, invero, del quale, soprattutto dopo la grande crisi economica innescata dal “default” di alcune banche statunitensi nel 2008, numerosi accreditati sociologi, giuristi ed economisti hanno riconosciuto il ruolo di istituzione di garanzia e la non surrogabile attitudine a fornire tranquillità, certezza ed affidabilità a tutti i procedimenti giuridici ed economici di rilievo primario, già vigente nei paesi di “CivilLaw”, è stato di recente importato ed adottato in svariati paesi emergenti quale istituzione indefettibile di legalità e di pace sociale. Questo processo, del resto, è perfettamente coerente con la circostanza che il Notariato, ad onta di alcune opinioni superficiali e scarsamente consapevoli, sia una istituzione di grande modernità. Il notaio, infatti, incarna ed esercita, in regime di organizzazione privatistica e senza oneri di sorta a carico dello Stato, una pubblica funzione di rilievo giurisdizionale e, in specie, quella volta a garantire la giustizia dei rapporti sociali, intesa come compendio e sintesi di libertà e di uguaglianza, mediante la rimozione, imperiosamente demandata alla Repubblica dall’art.3, comma II, della Carta Costituzionale, degli ostacoli alla dignitosa, equilibrata, simmetrica e paritaria dialettica relazionale di segno giuridico ed economico dei cittadini.

Consiglierebbe ai giovani di intraprendere questa strada? È una professione, secondo lei, che consente di restare a sud o come tante professioni l’obbligo è quello di doversi trasferire, praticamente per sempre?

Fornire suggerimenti ai giovani, soprattutto per quanto inerente alle scelte di vita di questi ultimi, non è mai compito agevole. Il percorso di formazione funzionale al superamento del pubblico concorso notarile ed alla acquisizione della qualità di notaio è lungo ed impegnativo. Non sono pochi coloro che non riescono a raggiungere quest’obiettivo dopo anni di studio e di sacrificio. Consiglierei, pertanto, la professione di notaio a coloro che sono supportati da entusiasmo e da forti motivazioni, tali da giustificare un impegno ed un sacrificio di non breve durata e l’assunzione di un rischio non risibile di non riuscita. Superato il concorso, la professione di notaio si palesa senz’altro appagante per chi si sente in sintonia con la pubblica funzione notarile; essa è dura ed impegnativa, implica una quotidiana profusione di tempo e di energie maschiude allettanti prospettive di realizzazione, di soddisfazione e di gratificazione. Consente, peraltro, di esercitare la propria funzione in ogni zona e territorio d’Italia: le sedi notarili sono, infatti, equamente distribuite nei territori del nostro Paese, sono dotate di equipollenti dignità e prospettive operative egarantiscono a tutti i notai, in applicazione di un principio solidaristico condiviso con la magistratura togata, uguale trattamento pensionistico e previdenziale.

Lei è persona assai stimata e affianca al suo impegno professionale quello rotariano. Ci racconta in breve la sua esperienza all’interno del Club beneventano?

Che io sia persona assai stimata è una sua opinione che ascolto con piacere e della quale la ringrazio. Forse, in tanti anni di impegno e di dedizione professionale, sono riuscito a conseguire un minimo di credibilità reputazionale. Nutrendosi la mia funzione del valore della fiducia, ritengo il detto risultato il più importante tra quelli conseguiti. L’impegno che profondo nel “Rotary”, in qualità di socio del “Rotary Club Benevento”, (dovrei probabilmente profonderne di più, cercando di ritagliarmi, all’uopo, maggiore tempo e superiore disponibilità) discende da un senso di responsabilità sociale, che mi suggerisce, quale obiettivo di etica rilevanza, di collocare la mia (modesta) persona e le mie (poche) competenze al servizio della collettività, delle esigenze della medesima e dei bisogni dei più deboli e dei meno dotati di facoltà culturali, relazionali ed economiche. Il dovere di disponibilità illustrato è d’altronde in linea con i connotati salienti della mia funzione professionale, che deve nutrirsi, irrinunciabilmente, di spirito di servizio e di attitudine all’empatica condivisione.

È vero che lei è appassionato di musica e suona nel tempo libero anche nel Rotary?

La musica è un’antica passione, che ha da sempre un ruolo importante nella mia vita. Da ragazzo ho studiato un po’ il pianoforte, senza, tuttavia, la dovuta diligenza. Preferivo giocare a tennis ed andare in motocicletta (altre mie grandi passioni). Mi sono, pertanto, nutrito di musica perlopiù quale ascoltatore, godendo, peraltro, dei privilegi discendenti dalle importanti esperienze professionali di mia moglie Selene, apprezzata violinista professionista e stimata docente. Recentemente mi sono lasciato coinvolgere da alcuni amici rotariani (un grazie sentito a Paolo, Ernesto ed Anna) in un gruppo rock, nel quale suona anche (ciò mi procura gioia e soddisfazione) mio figlio Ugo, giovane chitarrista di un certo talento. Sotto la guida paziente ed illuminata del maestro Gianluca Bufis, strepitoso musicista polistrumentista, ci siamo prodotti, un po’ velleitariamente, in alcuni concerti assai divertenti, i quali, incredibilmente, hanno anche avuto un minimo di riscontro. Magia della musica e dell’amicizia!

Lei è innamorato di Benevento, tanto che ha deciso di viverci insieme alla sua famiglia. Ma pensa che la nostra città abbia davvero un futuro?

Benevento è la mia città, il luogo dove si è formata la mia famiglia e dove ha sempre vissuto ed operato quella mia di origine. Qui ci sono le mie radici ed i miei interessi; amo conoscere altri luoghi ed altre realtà, adoro viaggiare, ma non ho mai pensato seriamente di trasferirmi altrove. Credo che Benevento, con il suo formidabile bagaglio di storia e di cultura, sia un luogo di fascino e di atmosfera, dotato tuttora di plausibili prospettive. Nostro grande nemico è il progressivo spopolamento delle aree interne a vantaggio dei grandi centri urbani, la diaspora drammatica dei nostri giovani in fuga verso occasioni ed organizzazioni di vita almeno in apparenza più allettanti ed appaganti. La vera sfida è sovvertire questo “trend” vizioso. Credo che riuscirci sia possibile invertendo la tendenza descritta attraverso l’amministrazione perspicace e sagace del territorio urbano e di quello della provincia, la valorizzazione delle attitudini culturali, storicamente salde e spiccate, la salvaguardia delle tradizioni, aperta, tuttavia, alla modernizzazione delle abitudini e delle dinamiche relazionali, il potenziamento delle infrastrutture, l’impegno collettivo, la qualità delle testimonianze individuali. Molto, per la verità, si sta facendo, ad opera delle istituzioni politiche, amministrative e culturali. Fare ancor di più è dovere di tutti ed è il cimento al quale cerco di sensibilizzare ed attrezzare i miei figli, i miei studenti e i miei discenti.

Se dovesse suggerirci un hashtag, uno slogan o un logo per valorizzare la città cosa proporrebbe?

Lasciamoci ispirare dalla bellezza; godiamone le suggestioni. Forniamo risposte alle esigenze dei nostri ragazzi. Qui e insieme.

GIUSEPPE NICCOLO’ IMPERLINO