In attesa del Carnevale Società

L’angoscia per l’arrivo delle vacanze natalizie è di gran lunga inferiore a quella che si prova per la loro fine. Quest’anno, una sorta di frenesia sembrava aver preso tutti, già dopo la ricorrenza della Festa dei Defunti: non solo i commercianti si affannavano a ornare le vetrine con le solite renne e Babbi Natale di foggia varia, ma anche nelle case, da dietro ai vetri, spuntavano come funghi, alberi addobbati, sin dalle prime settimane di novembre. Dalla radio e dalla televisione, in quegli stessi giorni, si potevano sentire spot e canzoncine che non riuscivano a creare l’aria natalizia, perché “quanta neve che viene giù” o “letitsnow” sembravano versi ridicoli visto il clima tiepido e quasi primaverile che abbiamo avuto. Ma si sa: Natale c’u sole e Pasqua c’u cippone!

Visto che Pasqua Epifania, tutt’è ffeste porta via, il 6 gennaio è d’uopo sbaraccare il presepe, con una piccola cerimonia familiare per riporre il Bambino Gesù nella sua bella scatolina, è bene smantellare l’albero di Natale, togliere luci e decorazioni in attesa del prossimo anno. E invece, come una sorta di incantesimo, da alcuni anni a questa parte, si assiste a un lungo permanere degli arredi della festa ben oltre gennaio. Alcuni locali in città, ad esempio, hanno adottato le luci natalizie in forma permanente, in modo che non si sa se vogliono segnalare che sono sempre nello spirito natalizio o quelle luci e quei decori sono lì per semplice indolenza, trascurataggine, dimenticanza.

Non c’è niente di più triste delle luci natalizie ancora accese, quando non è più Natale! Sono fuori tempo, come quei frutti che si dimenticano e incartapecoriscono. Le feste hanno il loro fascino nella durata limitata, segnano un tempo diverso dall’ordinario, rompono gli schemi del quotidiano. Se durassero sempre, non si potrebbero distinguere dai giorni normali e non sarebbero più evento. Perciò, diamoci da fare e recuperiamo la normalità, che sicuramente è grigia e monotona, ma serve per conservare lo splendore alla festa. Se poi la normalità ci è insopportabile, possiamo combattere la depressione post-natalizia tuffandoci senza rimorsi nella gaia atmosfera del Carnevale. Infatti, passano solo undici giorni dalla Befana per avere l’ingresso di questa nuova strabiliante festa. Il proverbio prima citato circa il 6 gennaio (Pasqua Epifania … ecc.), che esiste un po’ dappertutto e c’è anche in italiano, ha una seconda parte che credo sia solo beneventana: ma s’avota Sant’Antuone e dice: “Férmete! Sta ancor’a mia”. Cioè, il 6 gennaio non porta via tutte le feste, ce n’è ancora una, quella di Sant’Antuone ovvero Sant’Antonio Abate, che si festeggia appunto il 17 gennaio, e si distingue dall’omonimo santo di Padova, festeggiato il 13 giugno, che in dialetto resta Sant’Antonio, forse perché è fine e settentrionale.

Sant’Antuone no, è eremita, viveva da solo nel deserto, aveva familiarità con un maiale, è molto più rustico come personaggio, ma soprattutto è protettore dal fuoco: quello vero che si accende nei falò, eretti in suo onore la sera del 17 gennaio, che si chiama ‘avampa o ‘a lampa e Sant’Antuone, tradizione che purtroppo è sempre meno praticata, o quello patologico dell’herpes zoster, una dolorosa afflizione causata da un virus che provoca eruzioni cutanee, accompagnate da un dolore urente e che in dialetto appunto è chiamato ‘u ffuoch’ e Sant’Antuone.

Dal 17 gennaio inizia quindi il Carnevale, che avrà il suo culmine il 13 febbraio, giorno di Martedì Grasso. Quest’anno è più breve, visto che avremo una Pasqua alta, il 31 marzo. E allora? ... sotto con la preparazione di salsicce, pizze piene, chiacchiere, panzarotti rustici e dolci. Tiriamo fuori i travestimenti, perché Sant’Antuone, maschere e suone.

PAOLA CARUSO

Foto: Gino Severini, Maschere musicanti (1921-1922), affresco, Firenze, Castello di Montegufoni