La buona notizia Società

Ogni mattina si ripete il rito.

Prima di dare inizio alla giornata lavorativa vado in edicola per l’acquisto dei quotidiani.

Una veloce battuta con il titolare, la solita domanda: “C’è qualche buona notizia?”, il solito sorriso sornione che lascia trasparire la risposta non detta.

Scherziamo sulla fortuna che potrei avere come editore de “La buona notizia”, quotidiano del buonumore, anzi, no: forse quindicinale, mensile, più probabilmente bimestrale o semestrale, quasi sicuramente annuale pubblicazione del buonumore.

La lettura dei quotidiani poi toglie impietosamente ogni speranza.

Eppure da qualche tempo mi sono imposto (come un novello Indiana Jones) di mettermi alla ricerca della “buona notizia”.

E’ un compito difficile, certosino, che richiede l’esame al microscopio dei media per scoprire il tesoro nascosto.

E’ un interiore esercizio di lettura della realtà con l’applicazione della teoria del bicchiere mezzo pieno.

Quando finalmente l’approccio cominciava a far germogliare i primi frutti, è piovuta inaspettata la sorpresa.

E’ stata la “buona notizia” a trovare me.

Con forza prorompente, come onda che la scogliera non può arginare, è apparsa sui media, rimbalzando dall’uno all’altro con un inesauribile gioco di sponda.

La nascita a nuova vita del Teatro Romano ed il suo artefice, Ferdinando Creta.

Persona competente, sensibile ed appassionata che con religiosa dedizione ne sta pazientemente liberando l’anima dalle scorie dell’oblìo per offrirla, nella sua poliforme bellezza, ai distratti beneventani.

Sì così venuta a creare una simbiosi fra Creta ed il Teatro Romano, tra il padre adottivo ed il figlio opera d’arte, per cui il figlio si è immedesimato nel padre ed il padre si è fuso col figlio in un rapporto che ricorda quella “magia simpatica” che legava Marguerite Yourcenar ai luoghi dell’Imperatore, poi trasfusi nel bellissimo romanzo “Memorie di Adriano”.

La buona notizia non è solo la rinascita del Teatro Romano, dai bei tempi delle rappresentazioni estive classiche ed operistiche nonché di alcune prime nazionali nell’ambito della “Citta Spettacolo” del compianto Ugo Gregoretti, ma - soprattutto - nell’individuazione di un nuovo modo, il “metodo Creta”, di valorizzare il patrimonio di Benevento, con l’indovinato connubio fra arte e conoscenza.

L’abbandonare l’idea di luogo come “location” di leggeri spettacoli canori (per lo più), per valorizzarne la vocazione artistica e l’anima storica, con l’instancabile discreto lavoro quotidiano svolto con dedizione ed umiltà (ora et labora), lontano dalle roboanti campagne pubblicitarie.

Il gradimento del pubblico, al di là di ogni più rosea aspettativa, è il segno tangibile che vi è ancora nei beneventani fertile humus da coltivare se si trova colui che è capace di dissodare in superficie l’arido terreno.

La competenza, il garbo e la passione sono la chiave di lettura di questa bella notizia.

Il pericolo - come acutamente ha osservato Sgarbi - è che tutto si esaurisca con il termine dell’incarico del suo ottimo autore.

UGO CAMPESE