La dipendenza da smartphone riguarda grandi e piccini Società

Da poco più di un mese è ormai iniziato il nuovo anno scolastico. Un anno scolastico che dovrebbe vedere, nelle speranze di tutti, il ritorno alla normalità pre-Covid: lezioni in presenza e niente mascherine in classe. Ma quest’anno scolastico, in molti istituti, ha visto l’introduzione di una novità che a tanti, studenti e genitori, non è piaciuta affatto: il divieto dell’uso degli smartphone in classe per tutta la giornata, ricreazione compresa. Divieto che le scuole più rigorose hanno imposto non solo ai loro alunni, ma perfino ai docenti.

Immediate sono fioccate le proteste di fronte a questo divieto, da taluni ritenuto oppressivo e retrogrado. A Latina, una studentessa quattordicenne si è rifiutata di consegnare il proprio smartphone all’ingresso a scuola. A darle manforte sono intervenuti suo padre e suo fratello maggiore e si è sfiorata la rissa con il personale scolastico. La giustificazione per tale comportamento è stata che lo smartphone in questione costava mille euro e quindi la ragazza non si fidava a lasciarlo fuori dalla classe (dove sarebbe stato custodito insieme agli altri).

In breve il paese si è diviso in due fazioni: i favorevoli ed i contrari al divieto. I primi, soprattutto gli insegnanti, sostengono che lo smartphone in classe rappresenta una distrazione costante, che impedisce ai giovani di mantenere l’attenzione sulla lezione e che, dulcis in fundo, può costituire un modo per copiare durante i compiti. I secondi ribattono che, dopo oltre due anni di pandemia durante i quali la tecnologia è stata fondamentale per sopperire all’impossibilità delle lezioni in presenza, tornare indietro ora è pressoché impossibile e non si può più rinunciare all’uso degli smartphone a scuola.

Lo smartphone come strumento indispensabile per gli studenti della generazione Z, dunque. Ma fino a che punto possiamo parlare di necessità e non di autentica dipendenza? Se vi è mai capitato di viaggiare su un treno ad alta velocità, diciamo ad esempio sulla tratta Milano-Roma o viceversa, avrete notato come molti passeggeri scendano dalle carrozze ad una delle fermate intermedie (di solito Firenze, dove la sosta è più lunga del consueto a causa del cambio di direzione di marcia), non perché il loro viaggio sia terminato, ma solamente per poter fumare sulla banchina davanti al treno. Da diversi anni, infatti, le carrozze fumatori sono state abolite e su tutti i treni d’Italia è proibito fumare, anche nelle toilette.

Per un fumatore abituale un viaggio di cinque ore senza poter accendere una sigaretta equivale quasi ad una tortura; allo stesso modo, chiedere ad un adolescente di stare lontano dallo smartphone per altrettanto tempo non è poi così diverso. Avete mai fatto caso, ma qui l’abitudine non riguarda solamente i giovanissimi, come in qualunque ambiente affollato sia possibile constatare, girandosi intorno, che le persone con lo smartphone in mano e gli occhi fissi sullo schermo sono di solito più numerose di quelle intente a parlare fra loro o dedite ad attività che non richiedono un collegamento alla rete? È così sorprendente allora il fatto che in tanti si ribellino al divieto d’usare lo smartphone a scuola per l’intera mattinata?

Lo smartphone un vizio che crea dipendenza al pari di fumo, alcool e gioco d’azzardo. Se vi sembra paradossale, provate a sperimentare di persona: spegnete lo smartphone, riponetelo in un cassetto e poi tenete il conto di quante ore riuscite a resistere prima di riaccenderlo (escludendo naturalmente la notte). Potreste scoprire, con un certo sgomento, di non essere poi così lontani dalla dipendenza come credevate.

CARLO DELASSO