La nuova frontiera dell'arte... NFT Società

NFT: arte, business o soltanto una moda effimera? Se non sapete di cosa sto parlando, ve lo spiego subito. La sigla NFT sta per non fungible token, ovvero token (gettone, ma in questo caso è un termine riferito alla crittografia informatica) non fungibile. Un NFT è un’opera d’arte, solitamente un disegno, però è virtuale: non esiste fisicamente, ma solo in rete. Tuttavia non è riproducibile, grazie appunto ad una tecnologia crittografica nota come blockchain. Un’opera d’arte virtuale, un disegno di cui esiste un’unica copia salvata su un server la cui proprietà è ceduta dall’artista ad un compratore per cifre che a volte raggiungono le centinaia di migliaia di euro.

La non riproducibilità dell’opera non vuol dire che non ne esistono altre immagini: l’NFT è un file ad altissima risoluzione, ma immagini più piccole si possono vedere e scaricare, così com’è possibile acquistare una cartolina che riproduce la Gioconda, ma del dipinto di Leonardo esiste una sola copia ed è custodita al Louvre di Parigi.

Gli NFT hanno già generato un fiorente mercato. Per alcuni sono un investimento sicuro, dato che le quotazioni delle opere sono destinate a salire. Per molti costituiscono un bene rifugio protetto che non può essere rubato in alcun modo: chi acquista un NFT compra un documento che certifica l’autenticità ed il possesso del file, ma non deve preoccuparsi di proteggere l’opera d’arte con sistemi d’allarme o di depositarla in una cassetta di sicurezza in banca. L’opera non può essere rubata, danneggiata o falsificata neanche dagli hacker (almeno per il momento, ma nel mondo dell’informatica guardie e ladri si rincorrono e si superano incessantemente). Quindi, dal punto di vista della sicurezza, possedere degli NFT è meno rischioso che possedere opere d’arte materiali, gioielli o lingotti d’oro.

Un affare dunque, soprattutto per chi li vende. Gli NFT sono diventati subito di tendenza e tra i miliardari, i divi di Hollywood e le stelle dello sport i collezionisti si sprecano. Ma c’è arte in tutto questo? Come sempre, i critici sono divisi: per alcuni non conta il mezzo d’espressione, ma soltanto l’opera in sé. A chi obietta che gli NFT non possono essere esposti al pubblico nei musei, si può replicare spiegando che è sufficiente uno schermo ad alta risoluzione affisso ad una parete per consentire a tutti di ammirare l’opera (anche in questo caso, senza correre rischi di furto, poiché un ladro potrebbe impossessarsi soltanto dello schermo che mostra l’opera, non dell’opera stessa).

Certo, un vero collezionista obietterebbe che non c’è gusto nel collezionare qualcosa che non si può toccare con mano. Ma se c’è una lezione che i primi due decenni di questo secolo ci hanno insegnato è che il futuro sta nella dematerializzazione: i libri si leggono sui lettori ebook, la musica si ascolta senza bisogno di supporto fisico, film e serie tv si guardano in streaming; anche il denaro è virtuale e persino le pubbliche amministrazioni, con una certa lentezza, si stanno convertendo e puntano ad abolire i documenti cartacei. Dunque era solo questione di tempo prima che questo fenomeno si estendesse anche al mondo dell’arte.

D’altro canto l’arte figurativa ha già vissuto numerose rivoluzioni: l’invenzione della prospettiva, l’arte astratta, la riproducibilità delle opere. Forse gli NFT sono un ulteriore passo in avanti. Come ho già detto, le quotazioni di queste opere d’arte sono già in alcuni casi elevate e, se ancora non è spuntato un Van Gogh o un Picasso, non è detto che non possa capitare da un momento all’altro. Resta da vedere se il fenomeno NFT rimarrà confinato agli artisti di nuova generazione o se anche maestri affermati si convertiranno a questa nuova moda, decretandone così il successo. Ma per sapere questo, non possiamo far altro che attendere: il tempo è da sempre il più affidabile dei critici d’arte.

CARLO DELASSO