L'antibiotico-resistenza: un problema che rischia di mettere a repentaglio la salute di tutti Società
Un problema che oggi tendiamo a non percepire e che fa 11mila morti all’anno solo in Italia è quello della resistenza antibatterica, in costante aumento in tutta Europa. Qualcuno l’ha definita “la pandemia silente a rallentatore”, in inglese Amr (Antimicrobial resistance). La resistenza antimicrobica significa che alcune infezioni causate da batteri, virus, funghi e parassiti non possono più essere trattate con gli attuali farmaci. L’esposizione a questi ultimi consente ai batteri di sviluppare la capacità di resistere e l’uso indiscriminato di farmaci come gli antibiotici accelera tale processo. Una resistenza diffusa renderebbe molta della medicina moderna troppo rischiosa, mettendo a repentaglio procedure quali gli interventi chirurgici, le cure contro il cancro e i trapianti di organi.
Pochi giorni or sono alla 79ª Assemblea generale delle Nazioni Unite si è tenuta una seduta specifica che riguardava la resistenza antimicrobica. Leggiamo e riportiamo dalla dichiarazione finale: «I leader mondiali si impegnano per una azione decisiva sulla resistenza antimicrobica con l’obiettivo di ridurre le morti umane del 10 per cento entro il 2030». Ottimo ma obiettivo modesto. Vuol dire risparmio da 100mila a mezzo milione di vite umane, quando si prevedono più di 39 milioni di morti a causa di infezioni nei prossimi 25 anni.
Nell’ambito della XXII edizione di Bergamo Scienza, dal 27 settembre al 13 ottobre 2024, c’è stata sabato 5 ottobre la conferenza dal titolo “Ci aspetta un mondo senza antibiotici?” tenuta da Stewart Cole, dell’Istituto Pasteur di Parigi e dell’Università di Oxford. A Luigi Ripamonti del Corriere della Sera il compito di presentare l’evento. Circa cento anni or sono (era il settembre 1928), Alexander Fleming notò che le piastre su cui aveva posto le colture di Stafilococchi erano contaminate da una muffa di colore tra il blu e il verde, attorno alla quale i patogeni erano assenti. Era un fungo del genere Penicillium e battezzò la sostanza prodotta con il nome di penicillina. Nonostante fosse conscio delle potenzialità terapeutiche della penicillina, finì per rinunciare date le difficoltà di estrazione del principio attivo. In realtà,il potere straordinario delle muffe era stato già osservato almeno trent’anni prima da un giovane molisano di Sepino, Vincenzo Tiberio, durante i suoi anni alla facoltà di medicina dell’università di Napoli. Rimasta nel cassetto ancora per anni, solo con l’avvento della Seconda guerra mondiale ricevette un impulso decisivo per l’industrializzazione e nel 1945 “per la scoperta della penicillina e dei suoi effetti curativi in molte malattie infettive” ad Alexander Fleming, Ernst Boris Chain e Howard Walter Florey fu assegnato il premio Nobel per la medicina.
Il primo uso clinico della penicillina si colloca nel 1941 e già dopo quattro anni fu identificata la sua antibiotico resistenza; nel 1948 ci fu l’avvento delle tetracicline e dopo cinque anni l’Amr (resistenza antimicrobica); nel 1952 i macrolidi e dopo un solo anno l’Amr; nel 1963 i chinolonici e dopo tre anni l’Amr. Da allora si sono susseguite nuove scoperte con nuovi antimicrobici, ma sono passati più di 40 anni dalla scoperta dell’ultimo antibiotico. Dopo gli anni fertili, c’è stato il declino, dovuto all’economia, o meglio, al mercato. Sebbene tra gli anni Cinquanta e Settanta questi farmaci siano stati molto redditizi per le imprese produttrici, in seguito investire nella scoperta e nello sviluppo di nuovi antibiotici non si è rivelato conveniente per le aziende. Vari i motivi. Il primo riguarda la durata del trattamento: per gli antibiotici si tratta di pochi giorni, mentre, per esempio, per i farmaci oncologici di alcune settimane o mesi e per i medicinali contro colesterolo, diabete, pressione alta addirittura di terapie da assumere per tutta la vita. L’altro motivo è il prezzo: un trattamento per debellare un’infezione costa di solito pochi euro, invece una terapia contro il cancro può costare da centinaia a migliaia di euro. Niente margine di guadagno, niente investimenti.
Nel 2019 sono stati investiti in trattamenti contro i tumori circa 8,6 miliardi di euro e in antibiotici solo 120 milioni. Abbiamo 46mila ricercatori per il cancro e 3mila per l’Amr. Secondo l’Oms ci sono solo 43 antibiotici sperimentali negli studi clinici a fronte di 5700 possibili nuovi trattamenti per il cancro. Eppure la necessità terapeutica nei due campi è comparabile. Perché i batteri stanno alzando la testa, diventando più forti nella lotta con gli antibatterici: è quella che gli esperti definiscono antibiotico-resistenza, un problema che rischia di mettere a repentaglio la salute di tutti noi.
GIANCARLO SCARAMUZZO
giancarloscaramuzzo@libero.it