Lavoro e sviluppo, Franzese (Flai Cgil): ''Indispensabili sicurezza alle persone e supporto alle aziende'' Società

Bassa natalità, fuga dei cervelli, immigrazione, mancanza di lavoratori: qual è il fattore comune che lega questi eventi? Risposta semplice: gli stipendi insoddisfacenti pagati agli italiani. E intanto l’Ue ci ha criticato anche per le condizioni di lavoro discriminatorie nel settore pubblico e l’abuso dei contratti a tempo determinato. Per parlare di questi e altri temi Realtà Sannita ha incontrato Angelo Franzese, segretario della Flai Cgil di Benevento, la federazione di categoria della principale organizzazione sindacale italiana che raccoglie i lavoratori dell’agro-industria. Non prima però di aver chiesto en passant al segretario generale della Cgil di Benevento, Luciano Valle, quale sia la principale differenza tra la Cgil degli anni Sessanta e Settanta e quella odierna: «I tesserati di base d’allora erano “monocolore”, comunisti e socialisti, oggi è presente tutto l’arco costituzionale, si va dall’estrema destra al Movimento 5 stelle».

Segretario Angelo Franzese, il Decreto lavoro varato il 1° Maggio dalla Meloni perché non vi convince?

Siamo contrari perché avevamo chiesto interventi strutturali. Invece la Meloni ha fatto tutta una serie di interventi frammentari, uno su tutti il cuneo fiscale, che avrà valenza per sei mesi coprendo i redditi fino a 35mila euro e quindi non sarà un intervento strutturale per recuperare appieno quello che è il potere d’acquisto dei salari. L’altra cosa che abbiamo contestato in questo decreto è la reintroduzione dei voucher, avversata con raccolta firme, mozioni di modifica, perché il voucher non è quello strumento che permette una giusta retribuzione e una programmazione della propria vita lavorativa in quanto lavori occasionali che non danno una solidità economica. Altra contestazione al decreto è quella che concerne gli appalti, lo spacchettamento degli appalti, l’uso illimitato dei subappalti. Fatto ancor più grave è che non c’è più l’obbligo per il datore di lavoro di applicare lo stesso contratto anche alle aziende committenti: ossia, se due persone lavorano nello stesso luogo di lavoro, una viene pagata con un contratto e l’altra con un diverso contratto; invece prima quanto meno c’era lo stesso trattamento economico.

Lavoro e sviluppo, nuova sfida?

Si crea lavoro dando sicurezza alle persone, dando supporto alle aziende. In Italia abbiamo regioni in cui aziende hanno già una struttura per poter supportare emergenze e altro, altrove invece abbiamo aziende che al primo soffio cadono. Dobbiamo aiutare aziende e lavoratori, formando questi ultimi, perché la formazione è fondamentale, non quella sulla carta in modo che le aziende prendano i contributi. Oggi il lavoratore deve essere messo in condizione che, anche se non trova lavoro, se ci sono chiusure delle aziende, abbia almeno la possibilità attraverso la nuova formazione di trovare lavoro in altre aziende.

Taglio reddito di cittadinanza: quali conseguenze?

Conseguenze devastanti, non per chi ha abusato del Rdc ma per chi effettivamente ne ha bisogno. In un Paese in cui quando superi i 50 anni è difficile trovare un’occupazione, una forma di sostegno a queste persone per diminuire il disagio deve pur esserci. Quello che è mancato sono stati i controlli. Se togliamo pure questo minimo apporto economico vuol dire che ci troveremo con milioni di italiani che andranno alla deriva, col rischio di divenire facile preda della malavita.

Stillicidio di morti sul lavoro. Ieri, giovane di 25 anni al primo giorno lavorativo.

Diverse le cause in questi tristi eventi. Da un lato ci sono giovani che non sono formati alla sicurezza sul lavoro, dall’altro queste persone non fanno parte del luogo di lavoro ma sono proprio prese in appalto, non conoscono quindi le dinamiche della sicurezza rimettendoci la vita al primo ostacolo.

Tornare in piazza per i diritti del lavoro.

Oggi viviamo difficoltà dovute al contesto storico ed economico talmente grandi da trovarci in una fase di nuova rivoluzione industriale per ciò che concerne il mondo del lavoro tale da poterla paragonare a quella dell’Ottocento, quando si prospettava un nuovo modello occupazionale. Nell’industria odierna i luoghi di lavoro sono cambiati completamente. Noi lavoriamo molto sulla percezione delle persone. Faccio un esempio. Un lavoratore della Rummo è un lavoratore privilegiato perché a fine mese ha uno stipendio che s’aggira intorno ai duemila euro: il problema è come far capire a quel lavoratore che quei duemila euro si dissolvono perché abbiamo una sanità che non funziona e quindi se vuoi curarti devi mettere mano alla tasca, un’istruzione che non funziona e quindi se vuoi avere un’istruzione d’eccellenza devi pagare, hai il settore trasporti che non funziona e se vuoi un servizio come si deve lo devi pagare. Devi far capire ai lavoratori che la vertenza è complicata e talmente importante che bisogna andare in piazza, come tra l’altro abbiamo fatto ultimamente a Napoli dove ci sono stati 50mila persone, che non sono poche visti i numeri avuti negli ultimi anni.

L’intelligenza artificiale sostituirà 7.800 persone all’Ibm.

La nuova sfida è rappresentata proprio dall’IA insieme all’industria 4.0, sponsorizzata anche dal sindacato perché permetteva di avere l’alta specializzazione degli operai, quindi salari più alti. Il mondo industriale ha capovolto questa logica dicendo io vado a investire nell’industria 4.0 così risparmio sul costo del personale. Questa è la nuova sfida da affrontare, governare questi processi perché l’IA andrà a peggiorare ancora di più quelli che sono gli aspetti occupazionali nel nostro Paese.

La sociologa Francesca Coin autrice del libro Le grandi dimissioni ritiene che il lavoro non è più fonte di emancipazione e che le dimissioni volontarie rappresentano la dimostrazione che la contropartita offerta ai lavoratori non è sufficiente. I salari bassi sono un disincentivo al lavoro, non il reddito di cittadinanza.

Che sia colpa del Rdc è una bufala, non è vero che i lavoratori non hanno voglia di lavorare, che se ne stiano in panciolle, il problema sono i salari, i contratti. Da anni lottiamo per portare avanti una vertenza sul contratto unico nazionale che garantisca a tutte le tipologie di lavoratori di avere gli stessi diritti e lo stesso salario. Parlare anche di salario minimo è quell’incentivo che dobbiamo dare al mondo dell’offerta del lavoro e dire io debbo lavorare avendo anche una garanzia. Se non ho un’occupazione stabile non posso programmare la vita, non posso sposarmi, mettere su famiglia, non posso chiedere un prestito perché se non presento una busta paga che dimostri di essere un lavoratore a tempo indeterminato nessuno mi farà credito. Questa è la triste realtà.

Fuga dal lavoro: 1,6 milioni di dimissioni in 9 mesi (Il Sole 24 Ore). Diversità salariale tra Italia ed Europa: 23% nei settori che faticano a trovare manodopera, 70% la differenza retributiva tra i medici italiani e i medici tedeschi (Confederazione europea sindacati). Il lavoro c’è, la paga no. Lavoratori introvabili: 100mila posti vacanti tra aprile e agosto nel settore del turismo e della ristorazione (stima Confesercenti).

Purtroppo il punto gira sempre intorno al salario. Quelle poche aziende in cui facciamo contrattazione di II livello, cioè quella contrattazione che permette di adeguare da un punto di vista locale le condizioni economiche che prevede il contratto nazionale, ci permette di fare un’operazione di adeguamento dei salari attraverso un sistema di premialità. Salario dignitoso incentiva il lavoratore, permettendo di non avere un lavoratore povero, perché una retribuzione intorno ai 1.200 euro fa tale.

Mentre il sindacato francese guida la rivolta di piazza contro le pensioni a 64 anni, quello italiano deve difendersi dall’accusa di non essere riuscito a difendere i salari, che dal 1990 a oggi anziché aumentare sono diminuiti. E metà dei giovani lavoratori non si iscrivono più a un’organizzazione composta ormai soprattutto da pensionati.

La prima domanda che i lavoratori ci pongono è “ma il sindacato a che cosa serve?”. Rovesciamo la domanda e proviamo a pensare se non ci fosse stato il sindacato. Oggi mettiamo dei paletti, un argine alla deriva liberista e liberale dell’attacco portato al mondo del lavoro. Si pensi se non riuscissimo a mettere degli argini. Il sindacato poi non è una fonte legislativa, può opporsi a una legge, può fare scioperi, come li abbiamo fatti, poi chi dà forza a queste spinte sindacali sono i lavoratori stessi e oggi purtroppo non partecipano più come non hanno partecipato in anni recenti. Le cause probabilmente sono dovute alla corsa all’individualismo, all’egoismo, a dire oggi sto bene poi domani vediamo che cosa succede. La mentalità assistenzialistica della vecchia politica dove tutto ti scendeva dall’alto e sempre comunque qualcosa ti arrivava. L’ultima grande manifestazione l’abbiamo avuta negli anni Novanta quando Berlusconi voleva cambiare l’articolo 18. Si era 4 milioni di persone al Circo Massimo a Roma con Sergio Cofferati. Il guaio è stato che chi ha poi rovinato tutto è stato il principale partito della sinistra, Renzi, Monti e tanti altri. Il lavoratore che dice “oggi non mi iscrivo più al sindacato” deve capire se non ci fosse più il sindacato come andrebbero le cose e di pensare ai figli, avere una visione a lungo termine. Oggi stiamo assistendo alla vendetta dei datori di lavoro: tutto quello conquistato attraverso le lotte se lo stanno riprendendo.

Rosita Galdiero, dirigente nazionale della Fiom Cgil, già segretaria generale della Cgil di Benevento, dopo l’esposto alla procura della Repubblica di Benevento, da lei depositato a suo tempo, sulla gestione di tredici centri di accoglienza appartenenti al consorzio Maleventum, con il processo tuttora in corso, ha ricevuto nuove minacce.

Questo non fa altro che rafforzare quanto appena detto. Da una parte c’è la comunicazione dei social network e dei media in genere che afferma che il sindacato non serve più, però dall’altra non si dice che con queste situazioni che emergono di tanto in tanto si va a sottolineare l’impegno dei sindacati. Il sindacalista non ha paura di andare a mettere le mani dove ci sia da denunciare. Questo purtroppo non viene percepito dai lavoratori, viene recepito invece da chi fa politica e ne ha timore. Di questi casi, come a Rosita alla quale esprimiamo tutta la nostra solidarietà, ne avvengono quasi tutti i giorni in tutt’Italia: assalto alla Cgil di Roma il più eclatante, ma non s’è detto che a Vicenza, Padova, non solo quindi a Roma, hanno assaltato sedi Cgil.

Futuro del sindacato?

Quello di stare al passo con i tempi, ma sempre dalla parte dei lavoratori.

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it