Morte della democrazia Società

Si è soliti certificare la nascita della democrazia in Italia con il referendum istituzionale e con la circostanza che, il 2 giugno 1946, votarono tutti i cittadini maggiorenni, comprese le donne (che avevano cominciato a votare qualche mese prima, in limitate consultazioni amministrative).

Si vuole affermare, cioè, che un pilastro della “democrazia compiuta” (compiuta con la stessa Costituzione, la quale proclama l'Italia una “repubblica democratica”) consiste propriamente in ciò: che l'ultima parola spetta al popolo (dalla stessa costituzione individuato come depositario della “sovranità”).

Si dà il caso che, pur proclamando la intangibilità della “Costituzione più bella del mondo” (Benigni dixit), soprattutto la famosa prima parte (nella quale c'è l'articolo 1 che ho appena utilizzato per quelle tre parole messe tra virgolette), quegli stessi zelanti difensori si stanno impegnando (riuscendovi senza troppa fatica) a seppellire il principio stesso della democrazia, cioè il voto dei cittadini.

Il 12 ottobre (anniversario della scoperta dell'America: beffarda coincidenza con l'inizio dell'evo moderno) in Italia si rinnovano gli organi di governo delle province. Ebbene, i presidenti usciranno fuori da una votazione ristretta che contraddice qualsiasi sistema elettorale moderno. Dove, ad esempio, all'elettorato attivo (chiunque può votare) si associa l'elettorato passivo (chiunque può essere votato). Da noi il 12 ottobre voteranno sindaci e consiglieri comunali, ma neanche tra loro c'è un generalizzato diritto di elettorato passivo, perché candidati (dalla legge) sono soltanto i sindaci. E i cittadini? Leggeranno sul giornale il nome del presidente. Abolito il diritto di voto, resta il diritto all'informazione.

Nessuno ha fiatato, neanche la Regione Emilia Romagna sempre pronta a rivolgersi alla Corte Costituzionale (quando le leggi le facevano gli altri). Credo ci fossero anche emiliani e romagnoli al Senato quando è stata votata la riforma del Senato stesso. Anche in quel caso, dimenticati gli “avanti popolo”, siamo stati esonerati dall'andare a votare. E non avremo il fastidio di una candidatura. Il nuovo Senato sarà una specie di CNEL (il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, preso come una Camera dei Fasci e delle Corporazioni imbottita di scaricati dirigenti sindacali). Per non sopprimere il privilegio del Capo dello Stato, che può nominare 5 senatori a vita, si sono precipitati a dare un seggio ai poveri sindaci che, dopo dieci anni, risultano ineleggibili nel loro comune, ma diventano preziosi (per la loro esperienza) a Roma.

La stessa legge elettorale per la Camera sta tutta nel “premio di maggioranza”. Gli eredi di De Gasperi sono nello stesso PD dove albergano gli eredi di Togliatti. Questi ultimi definirono “legge truffa” la legge del 1953 che assegnava un premio di maggioranza a chi avesse ottenuto il 50 per cento più uno dei voti. Adesso si cerca di coprire le vergogne e “alzare” l'asticella a 37 o 40 per cento. ll tutto per garantire la “governabilità”.

Ma quanto agli elettori, si garantisce che gli eviteranno il fastidio di scrivere una preferenza. Quanto alle candidature, se tutto andrà bene (e bene andrà, vedrete), ci sfogheremo con le “primarie”, bizzarra invenzione per rendere accessibile a tutti il significato della parola gazebo.

La “partecipazione” ritorna al primitivo ed unico significato di avviso di nozze. Dove (e ci mancherebbe che non sia così) l'invitato non prende parte al “fatto principale”, ma ne agevola la lietezza presentando un adeguato regalo.

Prendete gli ultimi tre presidenti del Consiglio. Sono per caso usciti da elezioni? Monti fu fatto senatore a vita e incaricato di sostituire la politica. Letta ebbe l'incarico di condire il montismo con un po' di sobria giovinezza.

Se è vero (per me non è vero, ma gli interessati mi smentiscono) che il 24 febbraio 2013 il PD perse le elezioni (lo disse Bersani alle ore 17,00 di martedì 26 febbraio dello stesso anno, dando la stura al teorema del “siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto”), anche Renzi è un usurpatore, a nulla rilevando che il suo partito abbia preso il 41 per cento dei voti alle elezioni per il Parlamento Europeo.

In democrazia non si dovrebbero imbrogliare le carte. Ma furono i partiti ad incominciare. Da quanti anni non si fanno i congressi? Intendo i congressi (sezionali, comunali, provinciali, regionali e nazionali) durante i quali gli iscritti (non chi sta passeggiando e si accosta al gazebo) preparavano tesi e discorsi, predisponevano liste di candidati e si esercitavano nella fatica di andare a votare.

Quella era la scuola di formazione di base della democrazia. Quando c'erano leader forti e autorevoli, anche il contadino della Val Fortore aveva piacere di far sentire la sua voce. Allorché i partiti sono finiti in mano ai detentori delle tessere, i congressi si sono fatti con accordi preventivi. Le elezioni si sono fatte per acclamazione, eliminando le schede, lo scatolo di cartone, i seggi, il voto segreto, lo spoglio. Eliminando, cioè, ciò di cui è costituita, fuori dalle chiacchiere, la democrazia. Che è un'erba che è cresciuta molto male in Italia, forse proprio a causa dell'antipatia suscitata da ipocriti magliari adusi a spacciare merce contraffatta.

Renzi è la personificazione della morte della democrazia in Italia. Un uomo solo “al comando”. E non è Fausto Coppi. Piuttosto comincerei a preoccuparmi che non sia del genere “uomo della Provvidenza”.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it

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