Napoli tra Paradiso e Inferno Società

Napule è tutto nu suonno / E a' sape tutto o' munno / Ma nun sanno a' verità”.

Sono i versi di chiusura della terza strofa di “Napule è”, il bellissimo tributo di Pino Daniele alla sua città, in cui il musicista fa un ritratto sentimentale di Napoli, con le sue antitesi di paradiso e inferno, dibattuta tra la rassegnazione verso un presente sempre negativo e la speranza nella fortuna che, scaramanticamente, dovrà pur arrivare. Riflettevo sul senso dei versi scritti da Pino Daniele, mentre guardavo lo spettacolare show per i festeggiamenti del terzo scudetto del Napoli, mandato in onda su RAI 2. Troppa gioia per un evento calcistico? Il terzo scudetto non è solo una vittoria sportiva, ma un’autocelebrazione e una presa di coscienza.

Sì, la verità di Napoli non si conosce, perché la città è stata vittima di una lunga campagna denigratoria e mistificante. Non sono una nostalgica dei Borboni, sia chiaro, ma effettivamente, visto che la storia la scrivono i vincitori, è innegabile che la capitale dei nemici dei Savoia sia stata oggetto di un processo di degradazione, teso ad esaltarne gli aspetti negativi piuttosto che quelli positivi. Leggete “I vermi” di Francesco Mastriani, del 1864; “Napoli a occhio nudo” di Renato Fucini, scritto nel 1877 o “Il paese di cuccagna” di Matilde Serao, del 1889. Il tentativo di emancipazione dal passato ha creato uno stereotipo del napoletano, e del meridionale in genere che, nella logica lombrosiana e nordista dominante, coincideva col tipo delinquenziale e sottosviluppato.

La canzone scritta da Daniele è del 1977, quattro anni dopo il colera e tre anni prima del terremoto, un periodo particolarmente difficile. La squalificazione di Napoli naturalmente andava di pari passo con quella di tutto il Sud, in un lungo processo che dall’Unità d’Italia in poi ha visto il continuo depauperamento del Mezzogiorno, tanto da far nascere una “Questione Meridionale”, che cercava di sfatare la prima bugia creata per screditarci: la sfaticataggine delle popolazioni dell’ex regno di Napoli, che erano povere per colpa loro, perché non lavoravano, a fronte di una terra rigogliosa che non aspettava altro che produrre. Un lungo lavoro di inchiesta svolto da Stefano Jacini, tra il 1877 e il 1886, dimostrò il contrario: le terre meridionali erano perlopiù improduttive. L’emigrazione di fine Ottocento e quella degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, fecero il resto. Nessuna iniziativa politica fu messa in campo da parte dello Stato per recuperare il divario tra Nord e Sud fino al 1950 con l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, ma la pratica del clientelismo e dell’assistenzialismo non ha permesso di realizzare lo sviluppo economico sperato.

Eppure … in questo scenario apocalittico di sporcizia, criminalità, degrado, Napoli ha prodotto letteratura, teatro, cinematografia, musica, arte, gastronomia suoi peculiari, che non seguivano le leggi del mercato nazionale e internazionale, che si esprimevano in una lingua diversa dall’italiano, con una creatività e originalità straordinarie, con una potenza identitaria che è come un marchio di fabbrica. Man mano che Napoli si riscopriva capitale europea, come era stata per secoli, a partire dall’età degli Aragonesi, unici in Italia nella seconda metà del Quattrocento a creare un Umanesimo di Stato e in latino, i successi si sono moltiplicati: vogliamo parlare di “Gomorra” di Roberto Saviano? Il libro e la serie hanno spopolato nel mondo! Vogliamo parlare de “L’amica geniale” di Elena Ferrante? Stessa cosa! E che dire dei cinque film su Diego Armando Maradona? Hanno celebrato il mito contemporaneo, fino al tributo di Paolo Sorrentino del 2021, “È stata la mano di Dio”. Lo scugnizzo argentino dall’infanzia poverissima, che diventa idolo delle folle, grazie all’eccezionalità del suo talento, e cade vittima della sua debolezza senza mai perdere di umanità, è un personaggio delle fiabe, in cui giustamente Napoli si riconosce.

Qualche tempo fa ho dedicato una serie di sei articoli apparsi sul nostro giornale, intitolati “Alterità di Benevento”, in cui cercavo di ricostruire le ragioni che hanno creato il mito negativo di Benevento, città delle streghe e della superstizione. Anche Benevento è stata una capitale sconfitta in un lontano passato ed è vissuta divisa e segregata per otto secoli, fino al 1860. Poi ci fu il brigantaggio, l’emigrazione, le due guerre, l’alluvione del 1949, la breve ripresa e i terremoti del 1962 e del 1980. A quando la voglia di riscatto?

PAOLA CARUSO