Neuroscienze e Musica Società

L’ascolto della musica ha un impatto profondo e complesso sul cervello, coinvolgendo diverse aree cerebrali e attivando una varietà di processi cognitivi ed emozionali. Inoltre attiva il sistema emotivo, il sistema motorio, la memoria, rilassa, sviluppa il linguaggio rispondendo in molteplici modi. Quindi l’ascolto e la pratica musicale sono non solo un piacere ma anche un'opportunità per stimolare il cervello e migliorare la qualità della vita. In questo articolo ho l’onore di intervistare il professore Antonio Montinaro, Laurea in Medicina e Chirurgia e Specializzazione in Neurochirurgia, grande esperto di musica che oltre ad aver curato per alcuni anni la Critica Musicale della Gazzetta del Mezzogiorno e del Quotidiano di Lecce è fondatore e presidente dell’Associazione Mozart Lecce. Ha a suo attivo 64 pubblicazioni neuroscientifiche e Pubblicazioni in ambito Musicale. Autore di due Saggi su “Musica e Cervello” (Zecchini ed. Varese, 2027-2019)

Professor Antonio Montinaro la ringrazio per la Sua disponibilità. Può aiutarci a comprendere come reagisce il cervello umano quando ascoltiamo musica?

Grazie per l’invito professoressa. Solo negli ultimi 20 anni l’esplorazione del rapporto musica-cervello è diventata materia di studio e di ricerca, in continua evoluzione grazie al supporto delle sofisticate tecniche elettrofisiologiche e dell’imaging diagnostico (Risonanza Magnetica Funzionale e Tomografia ad emissione di positroni in primis). La ricerca ha attualmente identificato 6 gruppi di neuroni che si attivano in modo selettivo. Uno di questi lo fa per la musica. Resta da chiarire se le persone nascono con neuroni musicali o se le cellule nervose acquisiscono una specializzazione per la musica durante lo sviluppo infantile. Se guardiamo il sistema nervoso come una grande orchestra capace di esprimere la più completa gamma di ritmi e melodie e le più complesse combinazioni armoniche, risulta più agevole pensare come una qualsiasi lesione possa tradursi in una alterazione dei sistemi ritmici che tengono sincronizzato il cervello, dove i neuroni possono attivarsi al momento sbagliato o instaurare connessioni errate o non attivarsi affatto. Poiché la musica diffonde fin negli angoli più remoti del cervello e del corpo e può far riemergere quanto appartiene al mondo dell’inconscio, la musica esterna può essere di valido aiuto per rimettere in tono la musica neurologica. La musica conserva questo potere magico perché indissolubilmente collegata al ‘‘bagno di suoni primordiali nella vita endouterina’’ (Grimaldi, 1993) e quindi ‘‘preesistente alla separazione’’ (Maiello, 1993). La musica nell’antichità era già una medicina per l’umore e per combattere gli stati di nevrosi. Oggi la scienza ne raccomanda l’applicazione in numerose situazioni patologiche: per alleviare il dolore di malati terminali, per stimolare la comunicazione nei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico, nei malati di Alzheimer e nel morbo di Parkinson; per trattare ansia, depressione e insonnia; nella gravidanza per stimolare lo sviluppo fisico e mentale del feto. Le ricerche scientifiche hanno svelato la capacità della musica di influenzare l’asse ipotalamo-ipofisario e il sistema nervoso autonomo

Quindi la musica può farci sentire felici o tristi. Ma cosa succede esattamente nel cervello quando ascoltiamo una canzone che ci piace?

“Senza la Musica la vita sarebbe un errore” sentenziava Friedrich Nietzsche. Come dargli torto? Mi piace rispondere con le parole di Pontus de Tyard, filosofo e vescovo francese del XVI secolo: “La Musica è la signora che placa il dolore, mitiga l’ira, frena l’imprudenza, attenua il desiderio, guarisce il dispiacere, allevia la miseria della povertà, disperde la debolezza e lenisce le pene d’amore”. Il piacere suscitato dalla musica trova la sua spiegazione nei processi fisiologici che regolano l’attività cerebrale, ossia nella produzione di dopamina, un neurotrasmettitore responsabile della sensazione di piacere. I ricercatori della McGill University di Montreal hanno visto che anche nei momenti che precedono l’ascolto il cervello produce dopamina. La scoperta, pubblicata su Nature Neuroscience, chiarisce perché la musica ha un’importanza così significativa nella vita delle persone. La musica non riveste solo il ruolo di colonna sonora di un’esistenza, ma diviene uno specchio in cui si riflettono vissuti ed emozioni: ascoltando una canzone legata a un ricordo significativo si potrà rivivere quell’emozione lontana nel tempo. La musica non è solo un torrente di ricordi ed emozioni passate, ma accompagna i nostri giorni sintonizzandosi con i nostri stati emotivi.

Parlando di emozioni, alcuni generi musicali, come quelli più lenti o rilassanti, sono noti per ridurre lo stress. Perché la musica ha questo effetto sul cervello?

Nel libro di Samuele (1, 16-23) si narra: “Lo spirito del Signore si era allontanato da re Saul ed uno spirito malvagio di Dio lo aveva invaso; Davide prendeva la cetra e suonava con la sua mano, Saul trovava la calma. L’attività musicale si è dimostrata in grado di ridurre il livello di stress abbassando la concentrazione dei markers infiammatori, attivando le cellule “natural killer” del sistema immunitario e incrementando il rilascio di endorfine, gli oppiacei naturali del cervello che hanno la capacità di diminuire il dolore e indurre un naturale buonumore. La musica, guidandoci verso la riconciliazione con i nostri ritmi vitali smarriti, può favorire una rinascita, una metamorfosi nel modo di rapportarsi agli altri e alla vita. La musica, com’è noto, può suscitare una vasta gamma di emozioni: dalla gioia per una Tarantella napoletana alle lacrime per un dramma pucciniano, all’angoscia per una Sinfonia di Mahler. L’emozione è più intensa durante l’ascolto di composizioni già note, che risvegliano ricordi sopiti.

Oltre alle emozioni, la musica ha anche un impatto su altre funzioni cognitive, giusto?

Basti ricordare che nell’ormai lontano 1997 furono studiati gli effetti a lungo termine della musica in gruppi di bambini in età compresa tra 3-4 anni, cui vennero impartite lezioni continuative di pianoforte per sei mesi. Alla fine della formazione tutti i bambini furono in grado di eseguire semplici melodie di Beethoven e di Mozart. Essi sono stati poi sottoposti a test di ragionamento spazio-temporale calibrato per età, e le loro prestazioni sono state di oltre il 30% migliori di quelle dei bambini della stessa età che avevano fatto lezioni di informatica per 6 mesi o nessuna formazione specifica.

La neuroplasticità è un concetto affascinante. In che modo la musica potrebbe influire sulla cognizione a lungo termine?

Il nostro cervello è costituito da 100 miliardi di neuroni. Ogni neurone ha circa 10.000 connessioni con i neuroni vicini. Questo ci fa capire quanto sia complesso il suo studio. La musica è l’unico stimolo in grado di attivare la maggior parte di questi milioni di neuroni, attivando tutto il cervello e non solo le aree temporali, adibite alla ricezione del linguaggio, ma anche le aree profonde, responsabili delle emozioni ed il cervelletto. La plasticità cerebrale è la potenzialità del cervello di modificare funzione e struttura non solo durante il suo periodo di sviluppo, ma anche durante la vita adulta. Il nostro cervello continua a produrre nuovi neuroni per tutta la vita e questa è una capacità unica dell'uomo, assente nei roditori e nei primati. Fino a qualche anno fa si pensava che nel cervello adulto non si formassero nuovi neuroni, ma ora, diversi studi hanno dimostrato il contrario. Un interessante esempio di plasticità cerebrale è quello occorso ad un chitarrista affetto da epilessia temporale secondaria ad una malformazione artero-venosa. Il jazzista era stato sottoposto ad una lobectomia temporale sinistra nel 1980. Dopo l’intervento chirurgico aveva presentato una severa amnesia retrograda ed una perdita dell’interesse e delle capacità musicali. Col passare del tempo però egli ha ripreso la sua attività professionale e nel 2007, nonostante l’estesa resezione lobare temporale, dimostrò, ad una attenta valutazione neurologica, di aver recuperato completamente la memoria e l’abilità strumentale. Il caso è di estremo interesse perché testimonia la possibilità di una straordinaria capacità riorganizzativa del cervello adulto.

Ma ci sono differenze nelle reazioni cerebrali a seconda del tipo di musica che ascoltiamo?

Certamente. La differenza è conseguenza dell’acculturamento del recipiente, senza trascurare il substrato genetico.

A proposito di effetti calmanti, sappiamo che la musica viene spesso utilizzata nelle terapie. Qual è l’impatto della musica sulla salute mentale?

La capacità del suono di distogliere l’attenzione dal malessere è un concetto antico. E’ stato infatti affermato che “Un canto armonioso è ascoltato volentieri dagli dei ed è quindi una preghiera particolarmente efficace. La capacità degli dei di liberarci dalle sventure e dalle malattie passa quindi, fin dai tempi più antichi, direttamente dalla musica”. La musica è l’unico linguaggio universale, comprensibile agevolmente da tutti gli esseri viventi, anche vegetali. Si diffonde rapidamente nel nostro sistema circolatorio, nei nostri neuroni, nei circuiti della memoria di ognuno, senza più uscirne, attivando il sensibile sistema delle emozioni. La musica riveste da sempre un ruolo fondamentale nella vita degli esseri umani. In ogni individuo, già dalla prima infanzia, vi è una grande disponibilità verso il suono. La musica e i suoni accarezzano la persona umana già nell’ambiente intrauterino. Siamo di fatto creature musicali. Da oltre 20 anni le neuroscienze affrontano con amore e passione lo studio del rapporto fra musica e cervello e invocano la musicoterapia come valido supporto nella cura di molte malattie anche gravi, quali il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, l’Atassia, l’Autismo. Molti colleghi sono ancora scettici sull’utilizzazione della musica in ambito terapeutico. Questo dipende probabilmente dalle scarse conoscenze e da una certa pigrizia verso nuove possibilità terapeutiche non farmacologiche. E pensare che Pietro Lichtenthal nel suo “Trattato dell’influenza della musica sul corpo umano del 1811 affermava: ‘Degno d’esperimento d’un medico è, a parer mio, il ricercare quanta sia la forza dell’arte musicale sull’uomo, e, condotto da ragionamento filosofico, trarne uso talora nella cura delle malattie. Questa idea non fu onorata finora secondo la sua eccellenza’.

Quindi la musica non solo ci fa sentire bene, ma può anche migliorare la nostra salute mentale. Ma c’è qualche tipo di musica che potrebbe, al contrario, avere un effetto negativo sul cervello?

Certamente. Lo sosteneva addirittura Platone nel VII libro de «Le Leggi». Egli riteneva che, ascoltando una musica che esprima rabbia o ira, si finisce con l’essere coinvolti in passioni ignobili, che plasmeranno negativamente il nostro carattere. Come sostengo nei miei saggi, la musica è potente, ma si tratta talora di un potere a doppio taglio: oltre che curare, può talora mettere a rischio l’equilibrio psichico di menti ancora immature, esposte alla totale identificazione con gli eroi negativi mitizzati. Dei quali tendono a replicare tutto: stile di vita, linguaggio, gestualità, abbigliamento, taglio dei capelli, tatuaggi. Pericolosa risulta la totale identificazione con immagini-simbolo, che trasmettono spesso messaggi di trasgressione estrema, sia con la musica che con la loro vita, talora conclusasi tragicamente.

Quindi la musica può davvero allenare il cervello. E riguardo alle diverse preferenze musicali? La musica che preferiamo ha un impatto diverso sul nostro cervello rispetto a generi che non ci piacciono?

Le preferenze musicali sono legate strettamente all’educazione musicale ed agli ambienti frequentati, non ai circuiti cerebrali che sono sempre gli stessi.

MAURA MINICOZZI