Parasite pigliatutto, ecco come cambia l'industria dell'immaginazione Società

Una decina di giorni fa, ha suscitato stupore la vittoria agli Oscar del film coreano Parasite. Per la prima volta nella storia dell’Academy, l’ambita statuetta di miglior film è andata ad un film straniero recitato in una lingua diversa dall’inglese. L’unico precedente finora era rappresentato dal francese The Artist, premiato nel 2012. Quest’ultimo però era un film quasi interamente muto ed era stato comunque girato (i pochi dialoghi e le didascalie) in lingua inglese. Dunque, dopo alcuni anni in cui Hollywood ha premiato dei cineasti messicani, forse anche in aperta contrapposizione con le politiche del presidente Trump, quest’anno il tappeto rosso punta in direzione dell’Asia.

Sconfitte sia le pellicole delle major tradizionali, rappresentate dal pur ottimo Joker, sia le produzioni targate Netflix, ovvero The Irishman di Martin Scorsese e Storia di un matrimonio, con la diva Scarlett Johansson.

A ben guardare, negli Stati Uniti i premi abbondano. Oltre agli Oscar, i riconoscimenti più ambiti in campo artistico sono attribuiti principalmente nel nuovo continente. I Tony awards sono gli oscar del teatro, gli Emmy sono gli oscar della tv, i Grammy gli oscar della musica, i premi Eisner sono gli oscar del fumetto; e i premi Pulitzer, in un certo qual modo, possono considerarsi gli oscar del giornalismo. Una caratteristica comune ai premi che ho citato è che puntualmente ogni anno, nove vincitori su dieci sono americani, inglesi o comunque si esprimono in lingua anglosassone. Nonostante la globalizzazione, i premi attribuiti al resto del mondo rappresentano un’eccezione.

Eppure per certi versi le cose stanno cambiando, sia pur lentamente. Se Hollywood rimane la mecca del cinema, sempre più spesso le case di produzione cinematografiche preferiscono svolgere le riprese dei film fuori dal territorio statunitense, soprattutto per via delle agevolazioni fiscali offerte da molti paesi stranieri. Negli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso, Cinecittà era considerata la Hollywood sul Tevere; in questo secolo invece molte produzioni scelgono di girare negli studi di paesi dell’Europa dell’est, in particolare nella Repubblica Ceca.

Lo stesso discorso vale per le serie tv, che sono diventate la nuova miniera d’oro per i produttori e la nuova droga per coloro che le divorano appassionatamente davanti allo schermo del portatile. La serie di maggior successo dello scorso decennio, ovvero Il trono di spade, pur essendo stata prodotta negli Stati Uniti, è stata girata un po’ dappertutto: Islanda, Croazia, Marocco, Irlanda, Spagna e Malta. Altre serie d’ambientazione contemporanea invece sono girate a Vancouver, in Canada, che può considerarsi ormai la capitale mondiale dei telefilm. Non è un caso se il principe Harry e sua moglie Meghan (che prima delle nozze reali recitava appunto in una serie tv) hanno scelto di lasciare l’Inghilterra per trasferirsi proprio a Vancouver.

Parallelamente, anche i gusti del pubblico si vanno globalizzando: complici le piattaforme in streaming, ormai guardare un film o una serie in lingua straniera con i sottotitoli non è più un tabù. Produzioni europee quali Gomorra, La casa di carta, I Medici o L’amica geniale riescono a sbarcare con successo anche oltreoceano.

Dunque, con pazienza ma senza perdere la speranza, possiamo prevedere che in tempi non troppo lontani non solo gli Oscar, ma molti altri premi internazionali vedranno la fine del predominio statunitense in nome di un’arte e di una cultura sempre più globalizzate.

CARLO DELASSO