Telegram è come WhatsApp? Più anonimato, più pornografia Società
WhatsApp è il sistema di messaggistica gratuito più diffuso al mondo, che in pochi anni è riuscito a rendere obsoleti i vecchi sms. Basta disporre di una connessione wi-fi o di una rete dati ed è possibile chattare, scambiarsi messaggi, foto, filmati, messaggi audio e perfino effettuare chiamate gratis. La sua popolarità è tale da aver generato un neologismo, per quanto orrido a mio parere: il verbo whatsappare (o anche uozzappare).
Ma il più diffuso non
significa l’unico: come la Coca-Cola ha nella Pepsi il suo eterno
rivale, come McDonald’s soffre la concorrenza di Burger King, allo
stesso modo esiste un sistema alternativo a WhatsApp e si chiama
Telegram.
Quest’app non è conosciuta come la concorrente, ma
offre ai suoi utenti più o meno gli stessi servizi, con alcune lievi
differenze tecniche. Anche Telegram consente lo scambio di file
allegati, la creazione di gruppi e le chat private. In questo anzi
risiede la principale differenza con WhatsApp: Telegram consente di
effettuare chat segrete, i cui messaggi non sono salvati sui server,
ma esclusivamente sui telefoni dei partecipanti alla chat.
Addirittura chi invia un messaggio può cancellarlo, dopo che questo
è stato letto, non solo dal proprio dispositivo, ma anche da quello
del ricevente, eliminando così ogni traccia del suo
contenuto.
Proprio la possibilità di inviare e ricevere
messaggi segreti ha reso Telegram protagonista nelle scorse settimane
di palesi violazioni della legge. In primo luogo è scoppiato lo
scandalo dei gruppi in cui ci si scambiavano foto e filmati hard di
minorenni. Approfittando di un sistema di crittografia, gli utenti di
questi gruppi ad accesso limitato diffondevano tra di loro contenuti
pedopornografici di ragazze meno che diciottenni. Si trattava spesso
di immagini o video realizzati dalle stesse protagoniste, inviati da
queste ad amiche o ai rispettivi fidanzati e poi fatti circolare a
loro insaputa. Un canale di scambio che la polizia postale ha
provveduto prontamente a chiudere, ma non è la prima volta che
accade e non è detto che questi gruppi non possano essere
ripristinati dai loro adepti.
Poi è scoppiato il caso dei
cosiddetti pirati dei quotidiani. Tramite Telegram ogni giorno i più
diffusi periodici nazionali venivano fatti circolare in formato pdf
sugli smartphone degli iscritti ai gruppi, in palese violazione del
diritto d’autore. Anche in questo caso, le forze dell’ordine,
coadiuvate dai tecnici informatici di Telegram, hanno proceduto alla
chiusura dei canali illegali.
Per ultimo, ma solo in ordine di
tempo, è stato scoperto uno scambio su Telegram di foto a luci
rosse, un evidente caso di revenge
porn che stavolta ha visto delle maggiorenni come vittime, sia donne
comuni che personalità del mondo dello spettacolo.
In ciascuno
dei casi che ho citato la collaborazione attiva di Telegram è stata
necessaria, poiché la polizia, da sola, non avrebbe potuto
disattivare i gruppi che svolgevano attività illecite, né risalire
ai colpevoli. Si è arrivati al punto che alcuni hanno addirittura
chiesto la chiusura di Telegram, a causa dell’elevato numero di
violazioni di leggi di cui si è fatta strumento. L’azienda, da
parte sua, si è difesa offrendo la massima collaborazione nelle
indagini e sostenendo che la segretezza delle chat è funzionale al
rispetto della privacy degli utenti.
Come spesso capita, la
soluzione al problema non sta nella censura: quello che oggi passa
per Telegram, domani potrebbe sfruttare altri canali. Occorre trovare
il difficile punto d’equilibrio tra la riservatezza delle
comunicazioni private ed il rispetto delle norme di legge.
CARLO DELASSO