Telegram: un social anarchico Società
Conoscete Telegram? Alcuni, in modo semplicistico, lo considerano la copia sbiadita di WhatsApp, così come la Pepsi è l’imitazione della Coca-Cola. Ma la realtà è molto più complessa.
Telegram nasce nel 2013, il suo creatore è il giovane (all’epoca nemmeno trentenne) Pavel Durov, già fondatore di VK, il Facebook russo. Durov è russo, ma è cresciuto in Italia, vede i paesi occidentali come un esempio di democrazia e mal sopporta lo strapotere di Putin. Quando la sua prima creatura, VK appunto, gli viene strappata via perché dava voce agli oppositori politici, fonda Telegram e si assicura di non poter essere estromesso un’altra volta scegliendo come sede legale gli Emirati Arabi.
Ma Telegram non è solo un sistema di messaggistica istantanea: come per WhatsApp, per iscriversi è sufficiente registrarsi con nome e numero di cellulare, ma è possibile scegliere un nick ed il proprio profilo diventa così accessibile a chiunque, anche a chi non ha il numero di telefono dell’utente in rubrica.
Più che un’applicazione di messaggistica, un vero social, come Twitter. Nel corso degli anni, Telegram aggiunge sempre più funzioni, mutuandole spesso da altri siti. Come Youtube o Instagram, è possibile pubblicare video o persino trasmettere filmati in diretta. Su Telegram esiste la funzione gruppi, senza limiti al numero di utenti che possono prendervi parte.
Grazie alla sua versatilità e soprattutto al fatto che il suo fondatore è un aperto oppositore di Putin, Telegram è divenuto il canale di riferimento più importante per le notizie dal vivo sul fronte della guerra in Ucraina. Gli utenti di questo paese caricano infatti su Telegram notizie e filmati in tempo reale. Gli utenti russi, a loro volta, possono sfruttare Telegram per avere notizie non filtrate dal regime e per esprimere la propria opinione, anche in forma anonima, senza essere censurati o perseguiti.
Dunque Telegram è un social buono? Nel caso degli aggiornamenti sul conflitto in Ucraina, probabilmente sì, ma anche questo social ha un rovescio della medaglia. Proprio l’assenza di censura ed il fatto che i dati degli utenti (i dati personali ma anche tutto ciò che viene condiviso e pubblicato tramite Telegram) risiedono su server degli Emirati Arabi ha reso Telegram un porto franco per estremisti, fanatici, complottisti, ma anche per chi diffonde contenuti apertamente illegali.
Messaggi di sostegno al terrorismo islamico, gruppi razzisti di estrema destra, diffusione di canali con video pedopornografici, revenge porn (filmati a luci rosse con protagonisti adulti, ma diffusi senza il consenso dei diretti interessati), tutto questo e molto altro circola su Telegram. E se rimuovere i contenuti illegali è difficile (la piattaforma, su richiesta, può chiudere gli account o i gruppi che pubblicano questi contenuti, ma i responsabili ne aprono immediatamente altri), punirne gli autori è impossibile, poiché la legge degli Emirati Arabi non lo prevede.
Dunque Telegram è una lama a doppio taglio: un social aperto a tutti e libero da censure, ma allo stesso tempo un luogo virtuale dove vige l’anarchia e dove ognuno è libero di dar sfogo ai peggiori istinti senza subirne le conseguenze.
Carlo Delasso