Vaccino e siero: attenzione non sono sinonimi Società
Vaccino e siero non sono termini equipollenti, né sinonimi. L’appello, più che l’invito, lanciato dall’Asmi (Associazione stampa medica italiana) e da numerosi professori universitari delle facoltà di medicina e chirurgia e delle facoltà di medicina veterinaria è da tre anni a questa parte puntualmente disatteso. Sembra proprio che nel tentativo di non ripetere la parola vaccino vada in automatico pronunciare o scrivere siero. A costoro andrebbe ricordato che l’autore di un articolo pubblicato su Lancet, la prestigiosa rivista scientifica inglese di ambito medico, non ebbe téma di riportare la parola vaccino per ben duecento volte. Anche l’Accademia della Crusca nel maggio 2021, dopo molte segnalazioni giunte circa l’uso improprio delle parole siero e antidoto nei giornali per indicare il vaccino, sentì il bisogno di fare chiarezza pur se a suo modo.
Vaccino e siero sono due cose concettualmente e profondamente diverse. E purtroppo non si tratta solo di grossolano errore che trova un riscontro frequente nei soli tg nazionali e regionali, ma anche in molti altri mezzi di comunicazione rivolti al grande pubblico. Un esempio tra i tanti è il libro uscito lo scorso anno che si avvale della firma di Fabrizio Pregliasco, volto noto e apprezzato dal pubblico televisivo durante la pandemia Covid-19, in condominio con la giornalista Paola Arosio, esperta di sanità e salute che vanta collaborazioni con il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore Sanità, la Repubblica e per vari periodici. A pagina 261 dei Superbatteri (Raffaello Cortina Editore) leggiamo: «[…] Secondo gli esperti, il miglior modo per contrastare i funghi non è la terapia, ma la prevenzione: non i farmaci, ma i vaccini. Al momento, però, non esiste alcun siero contro le malattie fungine[…]». Massima stima per il professor Pregliasco, docente di Igiene all’Università degli Studi di Milano, che avrà soltanto firmato e fornito materiale senza aver letto la castroneria citata. E così di errore in orrore si va propalando da tre anni a questa parte questo rituale, nella pressoché totale indifferenza generale e nel segno di una sempre più preoccupante deriva dell’informazione, resa ancor più tale dalla colossale montagna di bufale che per anni sono fiorite attorno alla vicenda Covid-19. È quella che l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) definì con efficace neologismo infodemia.
Il vaccino è in grado di evocare una risposta immunitaria, producendo anticorpi protettivi, dando un’immunità attiva, contiene antigeni (tossine o germi), con una protezione duratura che prende l’avvio dopo 14-20 giorni e dura per anni. Il siero invece è la componente liquida del sangue, una volta che lo stesso sia stato privato del fibrinogeno e della frazione corpuscolata (globuli rossi, piastrine, granulociti, monociti, linfociti). È un tipo d’immunità passiva, contiene anticorpi, prodotti a seguito di un’infezione naturale o come effetto di vaccinazione, dà una protezione immediata (inizia dopo 2-3 ore), ma breve, dura tra le 3 e le 6 settimane.
Chiamare quindi un vaccino con il nome di siero, il fluido biologico in cui è possibile rilevare e quantificare al contempo la risposta immunitaria (anticorpale) elaborata dall’ospite a seguito di vaccinazione, così come all’infezione, costituisce pertanto una grossissima cavolata, impensabile per uno studente di medicina al secondo anno alle prese con l’esame di microbiologia.
Ergo, sono finiti i tempi in cui si poteva affermare senza timore d’essere smentiti, l’ha detto la tv oppure l’ha scritto il Corriere della Sera.
GIANCARLO SCARAMUZZO
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