Scacchi: 50 anni dallo storico match Russia - Stati Uniti Sport

Sulle reti Mediaset (si può rivedere su www.mediasetplay.mediaset.it digitando nel campo “cerca”: La grande partita) è passata la pellicola cinematografica del 2014 La grande partita (titolo originale Pawn Sacrifice) di Edward Zwick e sceneggiata da Steven Knight. Il film ha per protagonista quel Tobey Maguire che il grosso pubblico ricorderà nei panni di Spiderman. La narrazione ripercorre gli anni che vanno dal 1951 al 1972 della carriera del campione di scacchi Bobby Fischer con l’epilogo della finale per il titolo mondiale in Islanda, dove affronterà il campione in carica russo Boris Spassky. La loro sfida passerà alla storia come «l’incontro del secolo».

Fra poche settimane, da quell’11 luglio 1972, saranno esattamente cinquant’anni dall’inizio di quell’epico match terminato il 1° settembre dopo 21 partite delle 24 previste, con il punteggio di 12,5 a 8,5 a favore dell’americano. Tutto il mondo fu coinvolto dall’imperversante scaccomania, Italia compresa. Con un ritardo di quattro secoli gli italiani riscoprivano gli scacchi. Bisognava risalire al pontificato di Leone X, appassionato scacchista, per ritrovare nel nostro Paese una diffusione e un entusiasmo paragonabili a quelli suscitati dai due grandi protagonisti della “sfida del secolo” di Reykjavik: Boris Spassky e Bobby Fischer.

Anche il Sannio non fu esente dal contagio. Nell’autunno del 1972 grazie ad Angelo Cillo, partecipante al gioco a quiz televisivo Rischiatutto di Mike Bongiorno, la diffusione e la passione per le “64 case” della scacchiera toccò il suo culmine. Nella nostra provincia iniziarono a sorgere i primi circoli scacchistici affiliati alla Fsi (Federazione scacchistica italiana): Paduli, con circa 50 tesserati agonisti (in piazza, con commenti a favore del pubblico, fu riprodotta con pezzi viventi la celeberrima sesta partita del match Fischer-Spassky), Pietrelcina e poi negli anni a seguire Benevento e Telese Terme per citare solo i più importanti.

Anche la nostra stampa iniziava a ospitare regolarmente articoli sugli scacchi, con Messaggio d’Oggi diretto da Danila De Lucia e Realtà Sannita diretto da Giovanni Fuccio, tanto che fu proprio il compianto direttore a richiedere per chi scrive l’accredito per le XXXVII Olimpiadi degli scacchi di Torino - la massima competizione a squadre mondiale per la prima volta nella storia tenutasi in Italia -, unico giornalista del Sannio accreditato, all’epoca, 2006, prima componente e poi presidente del Collegio dei probiviri dell’Asigc (la federazione telescacchistica). Ilarità e stupore suscitai nel direttore Fuccio quando gli riferii del motto di spirito del capo ufficio stampa, Adolivio Capece, che mi conosceva benissimo da tempo: «Oh, finalmente qualcuno che sappia distinguere un Alfiere da un Cavallo». Il riferimento era ai colleghi delle grosse testate nazionali, non scacchisti, che per forza di cose dovevano limitarsi nei loro resoconti a questioni di costume senza alcun valore tecnico.

Tornando al film, è spontaneo chiedersi: ma come sono trattati gli scacchi in questi film più o meno a tema? Le posizioni e le partite che si vedono sullo schermo sono verosimili? Regole, come il movimento o la disposizione dei pezzi, per non parlare di com'è collocata la scacchiera (la casa in basso a destra deve essere bianca), sono rispettate? Molte volte no, purtroppo. Oggi resta il rammarico che il cinema, nonostante le produzioni sempre più numerose (sono usciti più film in questi primi venti anni del XXI secolo che in tutti i cent’anni precedenti), non abbia ancora saputo calamitare l’attenzione del grande pubblico sul gioco. Ci ha dovuto pensare una miniserie televisiva uscita su Netflix alla fine del 2020, La regina degli scacchi, tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis. Di quest’ultimo, morto a 56 anni nel 1984, erano stati trasposti con successo sul grande schermo Lo spaccone (1961) e Il colore dei soldi (1984), entrambi con Paul Newman.

Parafrasando Paolo Fiorelli, come molti tra i loro amanti, sono fermamente convinto che gli scacchi siano, tra le altre cose, un’arte. E sembra naturale e giusto che dialoghino con le altre arti: la letteratura (quella scacchistica non è inferiore per qualità e quantità a quella scientifica e artistica), la musica, la pittura. Quando scrivo di scacchi come giornalista, mi accorgo che gli appassionati si dividono in due partiti: quello che ritiene quanto siano meravigliosi gli scacchi e gode nel vedere celebrata al cinema la propria passione in modo tale da renderli più popolari e raccogliere nuovi adepti; l’altro, che ritiene che i profani debbano discettare d’altro e non venire a macchiare il nostro altissimo culto con le proprie castronerie.

Lo scrittore francese Pierre Mac Orlan diceva che ci sono più avventure su una scacchiera che su tutti i mari del mondo. Gli scacchi possono assumere un caleidoscopio di ruoli e significati, tra gli altri quello dell’incarnazione dell’eterna lotta tra il bene e il male, o tra la vita e la morte; scacchi come paura, scacchi come odio, scacchi come felicità.

Perché il mondo non lo sa e, vederci seduti a un tavolino, non lo sospetterebbe mai, ma noi giochiamo a scacchi per provare emozioni forti. E per lo stesso motivo guardiamo i film.

GIANCARLO SCARAMUZZO

giancarloscaramuzzo@libero.it