La diffusione della leggenda Bisogna però giungere al 1486 per avere il primo strumento giudiziario completo che divide la stregoneria dalle altre eresie religiose, definendone i caratteri e insegnando il modo di riconoscere le streghe , il Malleus maleficarum dei domenicani Institor e Sprenger. Questo manuale del perfetto inquisitore giungeva a conclusione di un processo storico, che definiva la figura della strega in uno stereotipo, che rimarrà immutato fino al 1631, quando Friederich Von Spee comincia a dubitare della consistenza delle confessioni, estorte sotto tortura e della validità della macchina giudiziaria, messa in moto contro le streghe.
Gerolamo Tartarotti nel 1749
parla del volo notturno delle streghe come di un’illusione suggerita ad
esse dal diavolo: le donne credono di recarsi in volo al noce
di Benevento, ma in realtà non si muovono da casa. Analogo
intento razionalistico ha Costantino Grimaldi
nel 1751. Nel secolo del Romanticismo troviamo addirittura una
riabilitazione della strega, grazie agli studi di Jules Michelet in
Francia e a quelli di sir Walter Scott
in Inghilterra.
Le prediche di San Bernardino
Durante
l’elaborazione della fisionomia della strega come nemica del genere
umano, rea di tremendi delitti e degna di punizione capitale, un ruolo
importante fu giocato da San Bernardino
da Siena, che nelle sue prediche dedica una grande attenzione
alle donne che si occupano di magia. Egli le addita all’opinione
pubblica, accendendo gli ascoltatori di sdegno e di mistica esaltazione
contro le nemiche; sguinzaglia le forze dell’ordine sulle loro tracce,
placando i risentimenti della comunità attraverso la cattura e
l’uccisione di quelle che si ritenevano le responsabili di cattivi
raccolti; di menomazioni o morti di neonati o di altri drammi individuali
e collettivi.
Le
prediche si diffondono rapidamente in tutta l’Italia centrale, grazie
agli appunti stenografici presi da un fedele ammiratore del santo.
Questo
è il testo che ci riguarda più direttamente. “Elli
fu a Roma
uno famiglio d’uno
cardinale, el quale andando a Benivento di notte, vidde in sur una aia
ballare molta gente, donne e fanciulli e giovani; e così mirando, elli
ebbe grande paura. Pure essendo stato un poco a vedere, elli s’asicurò
e andò dove costoro ballavano, pure con paura, e a poco a poco tanto s’acostò
a costoro, che elli vidde che erano giovanissimi; e così stando a vedere,
elli s’asicurò tanto, che elli si pose a ballare con loro. E ballando
tutta questa brigata, elli venne a suonare mattino. Come mattino tocò,
tutte costoro in un subito si partiro, salvo che una, cioè quella che
costui teneva per mano lui, che ella volendosi partire coll’altre,
costui la teneva: ella tirava, e elli tirava. Vedendola costui sì
giovane, elli se ne la menò a casa sua: e odi quello che intervenne; che
elli la tenne tre anni con seco, che mai non parlò una parola. E fu
trovato che costei era di Schiavonia. Pensa ora tu come questo sia ben
fatto, che elli sia tolto una fanciulla al padre e alla madre in quel
modo. E però dico che là dove se ne può trovare niuna che sia
incantatrice o maliarda, o incantatori o streghe
, fate che tutte siano messe in esterminio per tal modo, che se ne perde
il seme”.
Abele
De Blasio
ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali
di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte
che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti
prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi
fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel
difficile decennio che precedette la presa di Roma
. Ludovico Antonio Muratori , nel Trattato della forza della fantasia umana del 1745, parla della superstiziosa credenza ormai per lui causata da patologie psichiche e da una disposizione all’estasi. Le donne che credevano di essere streghe ritenevano di recarsi in luoghi dove era esercitata ogni più nefanda libidine. “In Germania il monte Blockberg e in Italia la Noce di Benevento sono famosi per tale impostura, citati da assaissimi autori, col nome dei quali non mi sento di sporcar queste carte”.
Il già citato Gerolamo Tartarotti
si pone anch’egli nel numero di coloro che ritengono le
streghe delle visionarie, sia pure ispirate da forza diabolica, come
afferma nel Congresso notturno delle
Lammie del 1749. Le persecuzioni si spengono; la fama di Benevento
resta. Processi per stregoneria Matteuccia
Il
20 marzo del 1428 venne bruciata come strega Matteuccia
di Francesco abitante a Ripabianca presso Deruta. Nella lunga
sentenza fatta redigere dal capitano Lorenzo de Surdis compaiono
filastrocche contro gli spiriti e il dolor di corpo, fatte confessare con
ripetute torture, durante le quali si teneva l’interrogatorio.
Ad
un tratto, nelle confessioni di questa strega paesana, affiora un
frammento estraneo: dopo essersi unta di grasso di avvoltoio, sangue di
nottola e sangue di bambini lattanti, Matteuccia
invocava il demonio Lucibello, che le appariva in forma di
caprone, la prendeva in groppa e, tramutato in mosca, veloce come il
fulmine, la portava al noce
di Benevento dove erano radunate moltissime streghe
e demoni capitanati da
Lucifero maggiore. La povera Matteuccia
riferì anche la formula che faceva volare:
Nel
caso di Todi avvertiamo l’eco delle parole di Bernardino: per due volte
la sentenza sottolinea che Matteuccia
aveva praticato i suoi incantesimi, prima che egli predicasse
a Todi, nel 1426. È probabile che le prediche di San Bernardino
suggerissero al giudice il contenuto delle domande da porre ai futuri
imputati di stregoneria. Mariana
di San Sisto
Il nome di Benevento viene fatto in uno solo dei processi esaminati dal Nicolini e precisamente in quello del 1456 a carico di Mariana di San Sisto, conclusosi col rogo.
Ella
viene accusata di andare con una sua compagna «ad surchiandum pueros et
una nocte dicti mensi Iulii dicta Mariana et eius sotia in facie et
corpore ipsarum se unserunt cum certis unguentis diabolicis et incantatis
per dictam mulierem sotiam dicte Mariane, inter alia dicendo: “Unguento,
menace a la noce
de
Menavento, sopra l’acqua e sopra al vento” et de nocte accesserunt ad
nuces et arbores nucum ubi sole et sine lumine tripudiabant»[2].
Mariana
è accusata di aver ridotto in fin di vita il figlioletto di Paolo
Giacomo, detto Barbiere, e di Flora Schiavo. Condannata a pagare in prima
istanza una multa di 1300 danari nel termine di dieci giorni, ella risultò
insolvente e per questo fu condannata «ad essere bruciata col fuoco in
modo tale che muoia». Bellezza
Orsini e Faustina Orsi
In
due processi tenuti al Santo Uffizio di Roma
nel XVI secolo, raccolti da Bertolotti nel 1883, durante gli
interrogatori salta fuori il nome di Benevento e le danze sotto al noce
. Il primo processo era a carico di Bellezza Orsini
, accusata di malefici e venefici. Ella era esperta di erbe e fabbricava
medicine. Un giovane in cura presso di lei morì in seguito a malattia, ma
i parenti del morto accusarono Bellezza d'averlo stregato e ucciso.
Accanto a questa denuncia se ne raccolgono anche altre. Bellezza fu
condotta nel carcere di Fiano e sottoposta a numerosi interrogatori con
tortura, durante i quali ella «confessò» fra le altre cose: «Andamo
alla noce de Benevento e illi [lì] facemo tucto quello che volemo col
peccato renuntiamo al baptismo e alla fede e pigliamo per signore e
patrone el diavolo e facemo quel che vole luj e non altro».
E
più avanti ribadisce: «E andamo
alla noce
de
Benevento dove ce reducemo tucte insieme e illi facemo gran festa e jova
[gioco] e pigliamo piacere grande e poi il diavolo piglia quattro frondi
de quella noce e cusì ne ritornamo a casa e dove volemo ad streare
[stregare] e far male ad qualcheduno…».
Inoltre
riporta la formula per volare: «Unguento,
unguento, portace alla noce
di
Benevento, per acqua e per vento e per ogni maltempo».
Stremata
dalle torture la povera Bellezza Orsini si suiciderà in carcere,
colpendosi più volte la gola con un chiodo. Sfuggirà così al rogo. Secondo
Bellezza la riunione a Benevento si teneva ogni tre anni.
Il
secondo processo è datato al 1552 ed è a carico di Faustina Orsi
, accusata di aver stregato dei bambini, uccidendoli con i suoi farmaci.
Anche ella confesserà sotto tortura. All'epoca del processo Faustina ha
ottanta anni e ripete il solito incantesimo: «Unguento
mio unguento, sopra acqua e sopra vento portami alla noce
del
Benevento». Qui con altre quattro o sei donne balla e canta; racconta
di esservi stata trenta o quaranta volte in tutta la vita, ma che manca
alle riunioni da due anni perché si è pentita. Nella sua confessione
manca l'abbondanza di particolari fornita da Bellezza, ma ella è bruciata
ugualmente come strega[3].
Abele
De Blasio
ci informa che a Benevento erano conservati circa 200 verbali
di processi per stregoneria, presso la Curia Arcivescovile. Da una fonte
che volle rimanere anonima, egli seppe che gli atti erano stati distrutti
prima dell'arrivo delle truppe garibaldine nel 1860, per evitare che essi
fossero utilizzati come materiale di propaganda anticlericale nel
difficile decennio che precedette la presa di Roma
. Nell’immaginario popolare, il nome di Benevento ancora oggi è legato alla leggenda. A Navelli, paese in provincia dell’Aquila , famoso perché vi si produce lo zafferano, si narra la leggenda della donna gatto. Essa è la regina delle streghe ed è soprannominata Chicchera, cioè cresta di gallo. La donna gatto si reca al convegno di Benevento recitando la formula “Con un’ora vado e vengo alla noce di Benevento”. Ferita ad una zampa con un coltello, mentre sotto forma di gatto cerca di fare malefici, è riconosciuta dalla gente del paese, perché quando riprende la forma umana ha ancora il coltello nella coscia.
[1] Mammoli, Domenico, (a cura di), Processo alla strega Matteuccia di Francesco. Todi 20 marzo 1428, in Res Tudertinae, Todi, 1983 [2] "A succhiare (il sangue) dei bambini ed una notte del detto mese di luglio la detta Mariana e la sua compagna si unsero sulla faccia e sul corpo con alcuni unguenti diabolici e incantati da detta donna compagna di detta Mariana, fra le altre cose dicendo […] e di notte giunsero alle noci e agli alberi di noce dove sole e senza luce si sfrenavano. [3] Da Bertolotti, A., Streghe, sortiere, maliardi nel secolo XVI in Roma , Forni editore, Bologna , 1979, ristampa anastatica dell'edizione del 1883. |
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