Attenti al panda che vi guarda Cronaca

Sì, proprio voi.

Magari non ve ne sarete resi conto, ma con molta probabilità un simpatico panda dagli occhi metallici recentemente vi ha visto.

Se avete, ad esempio, recentemente viaggiato nell’Aeroporto Fumicino di Roma le avrete sicuramente viste, o forse no, d’altronde perché farci caso. Ma sicuramente avrete camminato sotto l’attento occhio di una simpatica telecamera con occhi e orecchie molto simili a quelle del simpatico animale. Il panda, il simpatico e goffo mammifero simbolo del WWF, è stato da sempre uno dei simboli della Repubblica Popolare Cinese, che ne possiede il maggior numero sul pianeta e lo ha da sempre impiegato come strumento della sua diplomazia. In quanto simbolo del Paese, il logo del panda ha anche fatto il suo ingresso nel mondo della videosorveglianza, settore in cui la Cina è leader.

La pandemia di Covid-19 che ci ha colpito oramai tre anni fa, ha rivoluzionato le nostre vite accelerando alcuni fenomeni già in corso da anni come la digitalizzazione del lavoro, o dell’istruzione, o la massiccia videosorveglianza attraverso telecamere intelligenti. Siamo oramai abituati e quasi soddisfatti della presenza della telecamera che controlla la nostra temperatura corporea nei negozi, negli aeroporti, le stazioni, e perfino nelle nostre case. La strategia di marketing è chiara, la presenza dello strumento viene accettata con meno riserve se il ‘look’ è amichevole. In ogni caso, con o senza il riferimento all’animale simbolo del WWF, le telecamere di manifattura cinese sono ovunque. Basta soffermarsi a leggere la marca di una qualsiasi telecamera pubblica che sarà probabilmente Hikvision, Dahua, Huawei, Sunell o in ogni caso per lo più riconducibile ad aziende cinesi. Il dilemma delle telecamere di videosorveglianza (in inglese CCTV cameras) di manifattura cinese all’interno delle nostre infrastrutture nevralgiche non è un tema nuovo. Il loro costo le rende attraenti ma le criticità di cyber-sicurezza sono evidenti. Il programma Report di Rai 3 ha già evidenziato le criticità di tali sistemi nell’Aeroporto di Fiumicino, attraverso il servizio “L’occhio del dragone”, disponibile online.

La nota rivista Wired ha, invece, permesso per la prima volta di fornire una stima numerica ed anche una mappatura geografica di tutte le amministrazioni pubbliche italiane che hanno adottato videosorveglianza cinese. Sarebbero infatti “almeno 2.430 gli impianti di sorveglianza targati Hikvision e Dahua acquistati dalle pubbliche amministrazioni” solo tra il 2017 e il 2020 (Wired, 2022). La stima, come esplicitato, è “conservativa e inevitabilmente parziale”. Secondo la nota rivista, non si tratta solo di musei come quello di Capodimonte, borghi come quello di San Gimignano o piazze come Piazza Colonna in pieno centro storico di Roma. Ad essere interessati sarebbero anche luoghi di rilevanza come, ad esempio, sale intercettazioni di 134 procure, le 112 telecamere presenti nel Ministero della Cultura, o gli uffici delle aziende sanitarie dell’Emilia-Romagna e delle Marche. La preoccupazione per la fragilità della maglia del sistema di sicurezza strategico nazionale non è solo Italiana, bensì interessa molti paesi, tra cui anche molti dei nostri Alleati NATO. Ma perché queste telecamere sono un problema? Secondo quanto riportato da Report nel panorama italiano, ma presente nel dibattito pubblico in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna già da anni, queste intelligenti videocamere dotate di intelligenza artificiale e riconoscimento facciale sono costruite con la possibilità di inviare dati verso l’esterno. Questi dati, inviati automaticamente tramite ciò che si chiama in gergo una “back door”, permettono l’invio dei dati registrati direttamente alla Cina continentale, indipendentemente dalla posizione delle telecamere nel mondo. Badate bene però, questo non è una discutibile iniziativa aziendale ma un obbligo imposto, se ritenuto necessario, dalla legge Cinese. Se richiesto dal Governo, infatti, l’azienda è obbligata a collaborare con i dati in suo possesso.

La Repubblica Popolare, la cui presenza in Africa è oramai ben nota, ha costruito il palazzo del quartier generale dell’Unione Africana in Etiopia, provvedendo anche ai suoi sistemi di videosorveglianza. Dal 2012 al 2017 i sistemi di sorveglianza cinese ascoltavano, registravano e inviavano dati verso indirizzi IP all’estero. Le telecamere intelligenti erano, secondo alcuni analisti, la porta di accesso nascosta di Xi Jinping per vedere ed ascoltare dalle quinte l’operato dei 55 Stati membri dell’Unione, ogni giorno dell’anno nell’arco di 6 anni. Hikvision Italia, filiale di una delle maggiori aziende del settore a livello mondiale, è posseduta da una holding europea, a sua volta detenuta dalla casa madre cinese. L’azienda Hikvision è però posseduta al 42% da un’impresa statale di software militari. La videosorveglianza cinese di colossi come Hikvision, i cui sofisticati prodotti sono già stati bannati per le istituzioni federali Americane, dopo un’indisturbata espansione detta preoccupazione anche in Europa.

Nel nostro Bel Paese, si sa, il livello di digitalizzazione sia pubblico che privato non è certo tra i più veloci, ma il PNRR, così come la creazione di un ministero apposito e l’attenzione sul tema delle Istituzioni Europee dovrebbero accelerare il processo. Il gravoso, complicato e al contempo necessario servizio che l’istruzione e l’amministrazione della res publica, le aziende, ma anche i media più tradizionali così come quelli più smart, possono e devono svolgere è quello di fornire opportunità di conoscenza, ai più giovani come ai più maturi. La conoscenza del mondo tecnologico e la diffusione di un suo corretto utilizzo attraverso corsi, progetti ed eventi pubblici, in stretto contatto con professionisti del settore ed enti privati, potrebbe a lungo termine fare la differenza. “Digitalizzarsi”, che non indica solo l’utilizzo di TikTok (anche questa di origine cinese), rappresenta l’opportunità per il nostro Paese di progredire velocemente e allo stesso modo di comprendere ed utilizzare al meglio quella tecnologia che, indipendentemente dal nostro volere, c’è e ci sarà sempre di più.

Antonio Tinessa