2023: orizzonti macro-economici e declinazioni politiche Economia

Il panorama politico ed economico nazionale e globale sono sempre più interconnessi e inscindibili, comprendere gli orizzonti politici futuri e imminenti senza fare i conti con termini un tempo considerati ostili e tecnici ma oggi parte del dibattito pubblico e culturale (tassi, inflazione, debito) sarebbe ingenuo oltre che rischioso. Il seguente articolo si propone non tanto di analizzare scenari politici futuri, quanto di fare il punto su alcune tematiche scivolose che la politica nazionale si troverà ad affrontare nel prossimo anno.

Prima di tutto, bisogna comprendere la straordinaria complessità del 2022, anno in cui l’inflazione globale è salita dal 2% al 10%, le banche centrali hanno risposto alla crisi energetica con un rapido aumento dei tassi (per diversi analisti con un certo ritardo), e i mercati, anche obbligazionari, sono crollati (persino i titoli di stato USA hanno perso il 15%, segnando il peggior andamento annuale dell’ultimo secolo). Ora bisogna tracciare dei percorsi chiari per comprendere le reali implicazioni di questa straordinarietà macroeconomica.

Quali sono le implicazioni politiche, in particolare sulla politica nazionale?

L’implicazione più netta riguarda sicuramente un argomento della macroeconomia classica, da “manuale”, che però non trova applicazione reale da circa 15-20 anni: il trade off tra disoccupazione e inflazione (per trade off si intende situazione che implica una scelta tra due o più possibilità, in cui la diminuzione di una quantità costituisce un aumento in un'altra quantità). Se le banche centrali dovessero spingere per una manovra recessiva per ridurre l’inflazione, teoricamente (ma anche empiricamente) bisognerebbe sacrificare un aumento nel tasso di occupazione. Questa relazione tra disoccupazione e inflazione non è stata osservabile nel ventunesimo secolo nelle economie più sviluppate, a causa di politiche economiche estremamente espansive. Dunque, abbiamo osservato livelli di crescita e occupazione alti senza inflazione. Nel 2022 il ritorno di una fiammata inflattiva ci porta alla necessità stringente di fare i conti.

Le declinazioni politiche principali da considerare sono due: in primis saper comunicare questa manovra, che sacrifica il tasso occupazionale per frenare l’inflazione, concetto ancora abbastanza astratto per l’opinione pubblica. In secondo luogo comprendere il non poter avere veto decisionale in capitolo, in quanto la decisione spetta alla BCE, non di certo ai singoli governi nazionali. Si tratterebbe quindi non solo di “prendere ordini dai burocrati di Bruxelles”, ma anche di prendere ordini che porterebbero all’aggravarsi del problema occupazionale, molto presente in Italia nel dibattito pubblico. Ecco che iniziano ad emergere le forti implicazioni politiche di temi tecnici troppo spesso banalizzati. Da una lato un tema strettamente tecnico (rapporto tasso occupazionale - inflazione), dall’altro uno strettamente politico (chi stabilisce il tasso d’inflazione?).

La tentazione politica di ripensare l’indipendenza e l’autonomia delle banche centrali sarà forte, ne abbiamo avuto già degli assaggi (il ministro Crosetto a inizio mese sul Sole 24 Ore). Il punto è che si tralascia quanto il concetto di indipendenza operativa delle banche centrali sia, oltre ad essere consolidato dagli anni 70/80 in praticamente tutte le economie sviluppate, il perno della democrazia occidentale nell’odierno sistema tardo-capitalistico.

Può essere utile ripensare al rapporto con i governi nazionali (dibattito già vivo ma lontano anni luce dai talk show ai quali siamo abituati, alcuni spunti possono essere presi da un articolo di Martin Sandbu sul Financial Times), ma riguardo all’indipendenza della BCE c’è ben poco da fare nel concreto, bisognerebbe riformare un intero sistema economico globale. Sarebbe quindi bene spostare il dibattito politico dal fomentare un’ottica anti-europeista a pensare a quali misure mettere in pratica per fronteggiare l’imminente crisi occupazionale.

Al contempo bisognerebbe spostare il dibattito pubblico da retoriche novecentesche fini a sé stesse verso una maggiore consapevolezza della complessità politica ed economica che ci troveremo, come Italia, ad affrontare nel prossimo futuro, dando un senso pieno a termini un tempo freddi ed accademici ma oggi inevitabilmente parte del quotidiano.

ANTONIO SPINA