Amazon una risorsa o una minaccia per il nostro Sannio? Economia

Durante i mesi della pandemia, considerando in particolare il periodo che va da Gennaio a Ottobre, Amazon ha totalizzato poco meno di mezzo milione di assunzioni a livello mondiale (427.300), raggiungendo 1.2 milioni di lavoratori in totale (escludendo, tra l’altro, alcuni servizi esternalizzati). Secondo il New York Times, che ha reso pubbliche queste cifre, si tratta di un’assunzione di massa mai vista sul piano globale, paragonabile soltanto a quella dell’industria pesante della Seconda guerra mondiale.

Questa crescita, destinata comunque a stabilizzarsi, era sicuramente inevitabile, vista la tendenza alla digitalizzazione dell’ultimo decennio, ma il fattore pandemico si è rilevato un potente catalizzatore. Basti pensare che in Italia, secondo l’Eurostat, fino al 2019 meno del 40% della popolazione aveva acquistato almeno una volta online, contro il 79% della Germania e l’87% della Gran Bretagna. Questo ritardo rispetto alla media europea è dovuto a più fattori: una popolazione mediamente anziana, affezionata all’uso del contante, legata all’idea del negozio fisico e con poca dimestichezza con la tecnologia. Al 2020, questa percentuale risulta aumentata del 26% (secondo uno studio del Politecnico di Milano), ed è segno di un cambiamento profondo e duraturo a livello sociale, oltre che economico. Gli effetti diretti di questo fenomeno sono fortemente visibili, specialmente nelle nostre zone dove i negozi “fisici” sono in forte crisi.

Lo sviluppo inarrestabile del colosso di Jeff Bezos, porta con sé inevitabili problematiche, specialmente sotto due punti di vista: le criticità legislative e fiscali, e quelle inerenti lo sfruttamento di alcune categorie di dipendenti.

I problemi relativi alla tassazione, non riguardano i singoli negozi che sfruttano Amazon come servizio di e-commerce, anzi è molto più complesso evadere con il commercio online (pratica ancora molto diffusa nei negozi “fisici” nel nostro paese). Infatti, è la stessa azienda statunitense che tramite attività di lobbying, come tutte le grandi multinazionali del settore, e spalleggiata da paesi con regolamentazioni fiscali un po' lasche, riesce ad abbattere drasticamente i contributi che rientrano alla comunità (che si stimano lo 0.24% dei ricavi), consolidando una situazione sempre più monopolistica.

Questa criticità, come già accennato, riguarda anche altre multinazionali del mercato digitale come Google o Apple, e la politica si è dimostrata lenta nel reagire a una dinamica inarrestabile, oltre che prevedibile. Tentativi di una tassazione più rigida e giusta ne sono stati fatti, ma si sono rilevati fallimentari. Il Regno Unito, ad esempio, ha approvato quest’estate la digital tax, che il colosso di Bezos ha facilmente eluso aumentando il prezzo dei servizi dei singoli rivenditori (stessa manovra attuata da Google con gli inserzionisti).

Una seconda questione riguarda i dipendenti: Amazon assume al giorno circa 2800 persone (facendosi a più riprese vanto delle sue assunzioni). Tra l’altro, risale ormai ad Aprile la notizia che il gigante dell’e-commerce stia investendo nella zona sannita per potenziare i propri servizi nell’area tra Campania e Molise. In particolare, l’investimento riguarda un capannone (ex Mondosider) nell’area industriale Asi di Ponte Valentino, scelta sia per la posizione strategica, sia in quanto zona economica speciale (Zes). Nuova Express Line, in quanto società titolare di un servizio di logistica e consegna a domicilio per Amazon, avrebbe appunto investito per garantire servizi Prime (di consegna rapida 24/48 ore) nella zona sannita.

Il problema è la qualità del lavoro offerto. Ad esempio, la CGIL ha fatto più volte emergere problematiche inerenti ai turni massacranti, dovuti a un’eccessiva produttività richiesta, con un continuo monitoraggio computerizzato, accompagnato ad una precarietà contrattuale non indifferente.

Ancora una volta, è la politica a dover far fronte alla questione, vista anche la difficoltà delle iniziative sindacali ad essere incisive nei confronti di un colosso di tale portata. È fondamentale, però, chiarire un punto: non si tratta di “boicottare Amazon”. Stiamo facendo luce su quello che rimane un sintomo di un cambiamento profondo a livello sociale, che non può, né tantomeno deve, essere combattuto. In quanto fenomeno umano, il cambiamento di costume, non è di certo controllabile dall’alto. Il punto, ca va sans dire, non è quindi di cercare di invertire il processo di digitalizzazione quanto riuscire a controllarlo e indirizzarlo, con infrastrutture e politiche adatte. Il discorso, ancora, non riguarda neanche le politiche nazionali, che non sono abbastanza influenti da controllare un fenomeno di tale portata (basti ricordare la digital tax britannica sopracitata). Quello che serve, è dunque un intervento sinergico, internazionale e deciso alla regolamentazione di un mercato, di fatto, nuovo (se si considerano gli ultimi due decenni) ma al contempo già saturato da situazioni monopolistiche.

ANTONIO SPINA