E’senza uscita la crisi del tessile Economia

L’assistenzialismo non serve E’senza uscita la crisi del tessile Dopo le balle dei politici finalmente una lucida analisi. Per il professor Corti dell’Università del Sannio c’è bisogno di una forte innovazione radicale con design proprio e capacità di commercializzare nel mercato globale.



Cosa ne pensa dell'attuale crisi del settore tessile nel settore di San Marco dei Cavoti? E' tutta colpa dei cinesi o ci sono altre cause più profonde?

Come è noto a S. Marco dei Cavoti sono nate decine di nuove imprese da una trentina di anni. Qualche anno fa erano circa una ottantina con un totale di circa 1.300 addetti. Oggi sono registrate non più di una cinquantina di esse in crisi profonda, con circa 800 addetti. Cosa è successo? Molto semplice: negli anni passati imprese del Nord, titolari di marchi affermati, hanno trovato la convenienza di decentrare il processo produttivo qui da noi per ragioni di bassi costi del lavoro (un pò di lavoro nero, un pò di contributi non pagati, un pò di buste paghe contenenti meno denaro, ecc.). Quindi queste organizzazioni, che si sono moltiplicate e sviluppate come contoterzisti, salvo pochissime, dovrebbero per chiarezza essere chiamate "laboratori di taglio e cucito" piuttosto che "imprese". Ma con la ben nota concorrenza asiatica, con un costo del lavoro di almeno 10 volte minore non c'è speranza di recuperare competitività alle stesse condizioni.

Quali sono a suo avviso i mezzi per arginare tale crisi?

Sul piano occupazionale, credo, si può fare molto poco, infatti la maggior parte degli attuali addetti sa far molto bene il taglio e il cucito con risultati di alta qualità, ma non ha le caratteristiche personali per poter cambiare mestiere, anche con tutte le iniziative formative e di riconversione che si possano immaginare, quindi l'unica cosa è un programma di pura assistenza. Mi rendo conto che questa è una conclusione molto dolorosa, ma deve essere detta.

Insomma proprio non c’è speranza?

Gli imprenditori se vogliono mantenere in vita la loro azienda, debbono puntare a radicali innovazioni, che comportano necessariamente un forte ridimensionamento degli addetti, selezionando solo quelli che hanno un futuro e decidendo di decentrare all'estero il processo di produzione, sviluppando il design, la promozione, un controllo avanzato della produzione e una opportuna organizzazione internazionale della commercializzazione. Questa operazione non risolve assolutamente il problema occupazionale, ma salva una parte dell'occupazione e sopratutto salva alcune vere imprese.

In estrema sintesi che si può fare?

Per me non c'è altra possibilità se non quella di una gestione pubblica di tipo assolutamente assistenziale per gli addetti non riconvertibili, ed in parallelo un'azione privata di forte innovazione radicale, svolta da piccoli imprenditori molto innovatori, che sviluppino un design proprio, siano capaci di creare ponti con alcuni paesi dove il costo del lavoro di produzione è molto più basso, e imparino a commercializzare nel mercato globale. E' con questo spirito che il Centro per lo Sviluppo Imprenditoriale delle Aree Interne della Campania (CE.S.I.A.I.C.) dell’Università del Sannio, che mi onoro di dirigere, ha presentato una proposta all'Unione Europea per un Progetto di internazionalizzazione di imprese del settore dell'abbigliamento in collaborazione con il Consorzio Moda Mol di Molinara (BN), la Camera di Commercio Italo-francese di Nizza (Francia), l'Indian Institute of Management di Bangalore (India), e la Camera di Commercio Italo-indiana di Mumbai (India), con l'intento di dimostrare che una selezione di piccole imprese del settore, se saprà realizzare innovazioni veramente radicali, potrà sopravvivere e svilupparsi creando nuovi posti di lavoro per nuove figure professionali.

Secondo il governatore Bassolino ed il presidente Unioncamere Campania Costantino Capone, la nostra regione è una delle più vitali da un punto di vista imprenditoriale. Lei cosa ne pensa?

Purtroppo non sono così ottimista come il Governatore Bassolino, o come il presidente Capone. Infatti è pur vero che la percentuale di imprese che si costituiscono in un anno in Campania negli ultimi anni è una delle percentuali più alte tra le regioni italiane, ma si dovrebbe tenere in conto che il numero di imprese operative in Lombardia (regione con un numero di abitanti un pò maggiore di quello in Campania) è poco meno di 3 volte il numero delle imprese operative in Campania, il numero assoluto di imprese che si costituiscono ogni anno in Campania è molto più basso del numero che si riscontra ogni anno in Lombardia. Inoltre, in Campania la percentuale di mortalità di nuove imprese nei primi 3 anni di vita è una delle maggiori in Italia, quindi il numero assoluto di nuove imprese, nate in Campania che superano i famosi 3 anni di avvio è ancora più basso.

Sono tutti vocati all'impresa, oppure l'autoimpiego resta l'unica soluzione in un territorio così fortemente in crisi occupazionale?

Tenendo conto che la Campania ha il primato della più alta percentuale di disoccupazione giovanile (18-25 anni) che a memoria mi pare sia del 59% circa, possiamo pensare che alcuni giovani disoccupati non trovando lavoro, tentano di mettere su una qualunque impresa, ma poi molte di queste falliscono perché i promotori sono poco motivati, non hanno le basi di conoscenza giuste, nessuno li aiuta, ecc.. Ma forse il punto più grave è che non esistono, salvo in rarissimi casi per lo più sconosciuti, iniziative significative per lo sviluppo imprenditoriale nei luoghi dove si produce e si diffonde conoscenza, cioè le sette Università regionali o i Centri Pubblici di Ricerca o le decine di Istituti Professionali. Un esempio positivo In Campania è il CE.S.I.A.I.C. che è stato costituito nel Febbraio 2004 e che è molto attivo sul territorio avendo promosso vari progetti indirizzati al sostegno di nuove imprese, progetti finanziati dall'Unione Europea, dal MIUR e dalla Regione.

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LUCIA GANGALE