L'oro verde del Sannio, storia bimillenaria di un'eccellenza del territorio Economia
In Campania la pratica della coltivazione dell’olivo risale ai Greci e ai Fenici. I Romani, in seguito, ne favorirono la coltivazione, soprattutto nella nostra provincia, rivestendo di oliveti l’intero Taburno. Oggi, il territorio delle Colline Beneventane, che comprende 52 comuni dislocati dalle Colline alte del Tammaro e del Fortore, attraverso la Piana del Calore, fino ai primi contrafforti del Taburno e del Partenio, è zona di produzione di un olio pregiatissimo: l’extravergine di oliva Sannio colline Beneventane.
E’ un olio giallo, con sfumature verdi che all’olfatto rivela piacevoli note erbacee e netti sentori di pomodoro maturo, percepibili distintamente anche al gusto, che è armonico ma presenta gradevoli e intense sensazioni di amaro e piccante.
Le olive, ancora oggi, vengono raccolte a mano entro il 31 dicembre di ogni anno, trasportate al frantoio con cura e conservate in cassette forate, in condizioni di bassa umidità e a basse temperature, per poi essere molite entro i 2 giorni dalla raccolta.
Secondo i dati della Camera di Commercio in provincia il comparto olivicolo, in forte espansione, rappresenta oltre il 30% di quello regionale con circa 2,5 milioni di piante ed una produzione media annua di 75.000 quintali di olio.
La produzione media annua complessiva, invece, all’epoca dei primi decenni del nuovo Regno Italico, era valutata in circa 14.000 quintali. Tanta strada è stata percorsa ma tanta altra si sarebbe potuto percorrere.
L’industria dell’estrazione dell’olio già nei primi anni di appartenenza della nostra provincia al nuovo Regno faceva contare ben 324 frantoi, sparsi in 49 comuni e che utilizzavano 406 torchi. Di questi frantoi solo 15 facevano uso di motori idraulici, gli altri erano posti in movimento o a braccia d’uomo o da forza animale. Dei primi, 8 si trovavano nel comune di San Lorenzo Maggioree avevano 8 motori dalla forza complessiva di 100 cavalli, 3 erano nel comune di Durazzano ed erano forniti di un motore ciascuno della forza di 2 cavalli; degli altri 4, uno si trovava nel comune di Paduli e faceva uso di 2 motori idraulici della forza di 30 cavalli, il secondo nel comune di Morcone e si avvaleva di 2 motori della forza di 5 cavalli, il terzo nel comune di San Marco dei Cavoti con un motore della forza di 2 cavalli e l’ultimo, si trovava nel comune di Castelvenere ed aveva un motore idraulico della forza di un cavallo.
Gli operai addetti ai frantoi, per la maggior parte contadini che normalmente continuavano il loro lavoro nei campi, erano in numero di 1519, così ripartiti:1324 uomini oltre a 50 con meno di 14 anni e 140 femmine oltre a 5 sotto i 14 anni.
In provincia il numero maggiore di frantoi era situato nel comune di Faicchio con 26 unità, seguito da Guardia Sanframondi con 25, San Giorgio la Molara con 16 e Vitulano con 15. Possiamo anche citare i 13 di Foglianise, i 20 di Casalduni, i 23 di Paduli, i 21 di Pietrelcina e i 6 di San Lupo che nonostante il numero ridotto, comunque riuscivano a produrre 800 quintali di olio utilizzando 23 operai.
Il tipo di lavoro stagionale impegnava più di mille unità situate in questo modo: 179 a Faicchio, 100 a Guardia Sanframondi, 80 a San Giorgio la Molara, 57 ad Airola, 50 a Solopaca, 45 a Vitulano e così via.
Intorno agli anni 80 dell’Ottocento, però, chi produceva maggiore quantità erano i frantoi situati nel comune diAirola che con 10 torchi otteneva 2.150 quintali, o addirittura Cerreto Sannita che con 17 torchi ne produceva 2.791.
Era un lavoro, concentrato in pochissimo tempo, riservato quasi esclusivamente agli uomini, infatti, le donne impegnate in tutta la provincia erano solo 140 su 1519, meno del 10%.
La produttività era particolarmente alta per Cerreto Sannita che in meno di due mesi (46 giorni di media) riusciva a produrre la maggiore quantità di olio.
La media dei giorni impegnati dagli operatori del settore era per l’intera provincia di 33 giorni. Un classico lavoro stagionale.
Una fonte di ricchezza che ancora oggi sostiene numerose famiglie senza dimenticare che l’olivo è parte integrante del nostro paesaggio rurale.
ANTONIO D’ARGENIO