E\'da abolire l\'Ordine dei Giornalisti? Enti
Il dibattito, necessario ed opportuno, sulla riforma dell’Ordine dei giornalisti è iniziato con una nota stonata. Chiedere un confronto aperto ai giornalisti italiani ed alla società civile su di una tematica delicata com’è quella dell’Ordine, avendo già depositato in Parlamento un disegno di legge per la sua abolizione, certo non agevola il confronto, anzi lo “radicalizza” in modo non opportuno. Ma Daniele Capezzone della Rosa nel pugno, presentatore della proposta, forse puntava proprio sull’effetto della contrapposizione forte. Un braccio di ferro tra quanti credono nella necessità di mantenere in vita, dopo la rivisitazione critica della legge istitutiva del 1963, una struttura che serve non solo ai giornalisti, ma soprattutto all’informazione, e gli abrogazionisti ad oltranza, che giudicano l’Ordine come una corporazione tutta dedita alla salvaguardia di privilegi per i propri iscritti. Il partito radicale già nel 1997 aveva presentato cinque quesiti referendari per l’abolizione dell’Ordine, ma il quorum non venne raggiunto.
Mai come in questo momento, dopo calciopoli, i casi Savoia e Sismi, con relative intercettazioni telefoniche pubblicate integralmente, senza risparmio, dai giornali e con pesanti coinvolgimenti di giornalisti nelle vicende citate, s’impone un franca discussione sulla professione e sulla deontologia. Anche perché le nuove tecnologie hanno cambiato radicalmente il vecchio mestiere del cronista. Il confronto però non deve consentire scorciatoie o semplificazioni, soprattutto non può ammettere ridimensionamenti al diritto dei cittadini ad essere informati e conseguentemente al dovere del giornalista ad informare.
La proposta di legge dell’on. Capezzone, se accolta, porterebbe, tra l’altro, all’abolizione dell’articolo 2 della legge professionale n. 69 del 1963, che detta norme sulla deontologia professionale. Un punto particolarmente delicato che consente l’irrogazione di sanzioni ai giornalisti che non si attengono all’etica professionale. Critiche pesanti sono state rivolte all’Ordine su come in questi anni ha gestito la “giustizia interna”. Si è parlato di gestione politica dei “processi”, di manti pietosi che scendevano sulle teste degli imputati eccellenti, soprattutto di lentezza dei procedimenti e via dicendo. Si sa, il tema giustizia è delicatissimo e va affrontato sempre con grande prudenza. Molte critiche su questo argomento sono infondate e derivano da scarsa conoscenza degli iter processuali. Il diritto alla difesa dell’incolpato è fondamentale al punto che i tempi dei procedimenti si allungano in maniera esagerata: si può arrivare a cinque gradi di giudizio da svolgere in un tempo massimo di sette anni e sei mesi, prima della prescrizione. C’è, da questo punto di vista, la necessità di una semplificazione drastica che porti ad una riduzione sostanziale dei tempi, tre mesi massimo, nonché ovviamente dei gradi di giudizio. Ma c’è anche bisogno di una puntuale informazione dell’opinione pubblica sulla conclusione dei procedimenti ad evitare l’accusa di “giustizia morbida e/o di casta”. Il prossimo 18 settembre, di fronte al Consiglio dell’Ordine di Milano compariranno i giornalisti coinvolti nelle vicende Sismi, calciopoli e commistione pubblicità/informazione. La tempestività di deferimento, tenuto conto anche del periodo estivo, c’è stata; c’è però anche l’assoluta mancanza di un’ ipotesi tempistica circa la conclusione della vicenda..
Con la cancellazione della legge ordinistica cadrà anche la norma che tassativamente impone il “segreto professionale sulla fonte delle notizie”. Sarà molto difficile, anzi impossibile, che qualche fonte, sana di mente, dia notizie ai giornalisti sapendo che non hanno più alcun vincolo sul segreto professionale. Come pure il direttore di una testata non sarà più giuridicamente nelle condizioni di garantire l’autonomia della sua redazione. Insieme ai suoi redattori sarà un semplice impiegato tenuto a rispettare solo l’art. 2105 del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà verso l’azienda. Quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata per legge.
Anche l’accesso alla professione va rivisto. Non può non essere l’Università a formare i futuri operatori dell’informazione. In tal senso deve essere condiviso il decreto legislativo 300 del 1999 che affida, tra l’altro, l’accesso alle professioni all’Università. Sempre di più il giornalista, proprio per i processi di globalizzazione dell’informazione, dovrà avere una preparazione rigorosa. Lo sforzo dell’Ordine, in collaborazione con le Università, in questi ultimi anni è stato quello di mettere a disposizione dei giovani, nelle varie regioni d’Italia, scuole di giornalismo all’avanguardia per prepararli adeguatamente.
Il dibattito partito male, comunque, va allargato a trecentosessanta gradi, senza paletti fuorvianti e senza buttare a mare conquiste che sono diventate cardini della professione, a tutela soprattutto dell’informazione. Ma principalmente è il mondo giornalistico che, prima di tutto nel suo interno, dovrà confrontarsi sulle tematiche anzidette. Che Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, il sindacato unico di giornalisti, appoggi l’ipotesi di Capezzone lascia un po’ perplessi. Sarebbe stato molto utile che la tematica in questione venisse prima portata alla discussione dei Comitati di redazione. Comunque, c’è sempre tempo per farlo senza inutili “radicalismi” e senza polemiche con l’Ordine..