Il sogno sembrava sparire - di Mario Pedicini Enti

Realtà Sannita n. 20 del 15 dicembre 1989: “Mettere sotto l’albero di Natale della nostra classe dirigente l’Università e l’aeroporto non significa abbandonarsi a vaneggiamenti. Significa additare obiettivi possibili, sui quali occorre forse potenziare il consenso, ma per i quali non c’è da perdere neanche un’ora per la ricerca dei mezzi giuridici e finanziari di realizzazione”.
Dopo anni di proposte avanzate da sparute pattuglie di sognatori, dopo tentativi portati avanti con disegni di legge non accompagnati da una vera mobilitazione e non sorretti da forti alleanze parlamentari, si stavano realizzando condizioni favorevoli, imprevedibili fino a pochi anni prima.
La combinazione vincente si sarebbe giocata su tre nomi: Pietro Perlingieri, Antonio Pietrantonio, Ortensio Zecchino.
Perlingieri aveva “aperto” l’Università di Campobasso. Istituita sulla carta, era stata messa in moto dalle formidabili doti di organizzatore dell’illustre professore di diritto. Dopo aver navigato tra le Università di Napoli e Roma, era andato a Camerino per diventarvi rettore. Scommetteva adesso sulla nuova creatura da far nascere a Benevento padroneggiando il Consorzio universitario.
Pietrantonio era il sindaco più longevo della città. Aveva nel tempo strutturato la sua idea di città-cultura, riuscendo a convertire buona parte della classe dirigente. L’Università diventava un potente motore per tenere acceso il processo di trasformazione della società beneventana.
Ortensio Zecchino, anch’egli professore universitario, politico di lungo corso ancorché giovane (consigliere regionale, parlamentare europeo, adesso senatore) si trovò tra le mani la “pratica” allorché in commissione fu incaricato in Senato di fare da relatore alla legge che avrebbe istituito le nuove università. Ora o mai più, pensarono anche i vecchi sostenitori dell’idea.
Come raramente sarebbe accaduto, tacquero le voci critiche, non si alzarono polveroni, i favorevoli trepidarono prudenti. Guai a far nascere invidie e pretese di vicini di casa pur potentissimi.
Nel piano di assetto territoriale del 1968, redatto prima ancora che nascesse la Regione e impostato sulla idea del ribaltamento dello sviluppo concentrato sulle zone costiere, la prospettiva vedeva Benevento come sede della seconda università della Campania. Invece l’Università era stata concessa a Salerno, ma, per non scontentare Avellino, la si era insediata a metà strada in quel di Fisciano.
La scelta tattica dell’understatement costituiva una dichiarazione solenne di fiducia totale nel lavoro di Zecchino. Come spesso accade con lo “straniero”, costui era stato accolto dai beneventani con grande rispetto. Lui ricambiava con la signorilità e con un palese disprezzo del populismo, oltre che con una cifra culturale capace di affascinare non solo i giovani.
La trepidazione con la quale seguimmo la vicenda parlamentare era, forse, la risultante di un sentimento strano. Tanto più avvicinava la fine del lungo sperare, tanto maggiore si prospettava il dolore del possibile fallimento. La via tracciata da Zecchino era davvero l’ultima chance.
Ho già avuto modo di confessare pubblicamente che, pur essendo negli anni ’60 tra gli audaci e convinti fautori della Università di Benevento come strumento strategico per lo sviluppo del territorio, avevo perso la speranza che il sogno potesse realizzarsi.
Avevo (e ho) grandissima stima di Ortensio Zecchino. La paura che non ce la facesse mi vedeva emotivamente coinvolto. L’eventuale fallimento era anche il fallimento di una idea che avevo professato sui giornali e nelle occasioni di impegno civile.
Ecco perché mi pare giusto che Giovanni Fuccio, che fu il primo in assoluto tra gli impegnati in politica e mettere in piazza il progetto dell’Università, abbia voluto iniziare le celebrazioni per i dieci anni dell’autonomia (1998) con una intervista al prof. Ortensio Zecchino.
E’ stato lui l’ostetrico e la levatrice.
Quello che fecero Pietro Perlingieri e Antonio Pietrantonio si dirà nelle prossime puntate.
Molti di quelli che si sono laureati nelle facoltà più innovative dell’Università del Sannio sono iscritti a buon diritto nella nuova classe dirigente della città
A proposito del nome “Università degli Studi del Sannio”, mi piace ricordare che questa locuzione si trova, per la prima volta in un atto ufficiale, nello Statuto del Comune adottato il 25 luglio 1991 dal consiglio comunale di Benevento. Fu Loris Lonardo, professore universitario di scuola perlingieriana ma di qualità proprie, a volere la premonitrice precisazione, quando la Commissione (di cui io ero presidente) varò l’art. 4. Lì sta scritto: “Il Comune valorizza ed incrementa il patrimonio naturale, storico, artistico e culturale della città; promuove e tutela l’accesso alla cultura, alla quale tutti hanno diritto, ed incoraggia le arti; contribuisce allo sviluppo dell’Università del Sannio e delle Istituzioni di alta cultura presenti sul territorio”.
Lo Statuto (art. 1) è “atto normativo fondamentale”. Nessuna amministrazione può sottrarsi, quindi, a quest’obbligo di “contribuire” allo sviluppo dell’Università.


MARIO PEDICINI