La principessa Emmannuella Caracciolo tra grandezza ed oblio Enti

Dai fasti della corte regale alla miseria ed alla dimenticanza più assoluta e totale. La Storia è anche questo ed è emblematica di ciò la vicenda che ci accingiamo a raccontarvi.

Emmannuella Caracciolo era la quarta ed ultima figlia di Nicola, ottavo principe di Torella dei Lombardi, e di Maria Serra dei Principi di Gerace. Il destino di dimenticanza in cui è avvolta la sua figura è tale, che il suo nome non compare neppure nel patrimonio dell’Archivio di Stato di Napoli (http://patrimonio.archiviodistatonapoli.it/xdams-asna/siasTo-xDams-auther.jsp?theDb=asnaAutherFamiglie&resource=0000000562), in quanto dei quattro figli della coppia qui ne sono citati solo due: Maria Angelica, e Giuseppe V, terzogenito, che in prime nozze sposò Casimira Avarna dei duchi di Gualtieri, di cui rimase vedovo, ed in seconde nozze Luisa Eugenia Murat, la figlia di Gioacchino Murat e di Malcy Berthier dei principi Wagram.

Come non è citata, nella fonte sopra riportata, nemmeno la secondogenita della coppia, Livia. Emmannuella era la quarta ed ultima figlia della coppia. A Pago Veiano, piccolo comune del beneventano, che fu teatro dell’ultima fase della sua vicenda terrena, i più anziani la ricordavano, mestamente affacciata alle finestre dell’imponente palazzo marchesale, abbattuto dopo il sisma del 1962 e rimpiazzato dall’attuale sede comunale, ed alle prese con i pidocchi che ne assalivano la capigliatura… Sposata con Ferdinando de’ Girardi, marchese di San Marco, figlio del barone Giovanni e di Marianna del Tufo, visse, assieme al marito, che scomparve prima di lei, una vicenda terrena particolare: dai fasti della corte della prima regina d’Italia, Margherita di Savoia, alla miseria ed all’oblio nell’entroterra sannita.

Anche a Torella dei Lombardi, il comune dell’alta Irpinia di cui era originaria, la sua figura è sconosciuta. Mi addentro nelle sale del Comune, dove campeggia la litografia di Giuseppe Caracciolo (nato il 26 marzo 1839), esponente del notabilato locale e, grazie ad alcuni libri di storia locale donatimi da un gentile e solerte impiegato, scopro, incrociando i dati in mio possesso, che costui è il fratello di Emmannuella e che è stato sindaco di Napoli dal novembre 1889 al giugno 1891 (Pasquale Di Fronzo, “Torella dei Lombardi”, Ed. de Angelis, pag. 130). Giuseppe V, alla morte del padre Nicola, ottiene il titolo di duca di Lavello. Fu commendatore dei ss. Maurizio e Lazzaro e Gran Croce dell’Ordine di Malta e morì a Napoli nel 1910. Napoli è anche la città in cui Emmannuella e Ferdinando dimorano, in via Monte di Dio, 74.

La coppia non ha figli e si divide tra il capoluogo campano e le proprietà terriere del feudo di Pago Veiano, dove la contabilità è portata avanti dall’esattore Ciriaco Casalbore (1843-1909), uomo di specchiata onestà, ricordato in mortem per le sue doti umane e professionali anche dallo storico giornale “Gazzetta di Benevento” (24 aprile 1909). Emmannuella è prima dama di compagnia della regina Margherita ed ha anche frequenti contatti con la Francia. Parla diverse lingue. Conduce una vita dispendiosa assieme al marito Ferdinando e nel 1884, durante l’epidemia di colera, fa costruire una tendopoli a Napoli.

È del 27 marzo 1902 un’accorata missiva che la principessa invia da Napoli al suo esattore, Ciriaco Casalbore:

Carissimo compare. Vi scrivo perché il Marchese è un poco ammalato e non lo puo’ fare. Abbiamo aspettato fino ad oggi per la risposta alla lettera che il Marchese vi ha scritto l’altro giorno chiedendovi £ 300, ma niente è venuto. Ora vengo a pregarvene io onde per telegrafo le mandate domani appena ricevete questa mia. Dobbiamo assolutamente fare dei pagamenti che vi erano promessi per questa mattina, ed ho preso tempo fino a domani sera. Se non fosse assoluta necessità non vi avremo disturbato, ma non possiamo fare ammeno. Voi non potete avere difficoltà per la moneta, perché certo fatti i conti che speriamo fare subito, potete riprendere il vostro denaro su quello che viene al Marchese dalla Madre, ma se anche volete la mia garanzia io ve la do e questa lettera pure vi è da documento. Ma vi prego assolutamente farmi il favore, ho il Marchese ammalato e non so dove dare di testa e se non pago ho dispiaceri serii. Buona Pasqua a voi alla Commare e a tutti di famiglia. Domani aspetto assolutamente vostro telegramma, e così sarete veramente Compare. Marchesa San Marco”.

Con decreto del 17 maggio 1911 i coniugi de’ Girardi, non avendo figli, adottano legalmente il sacerdote Giuseppe Orlando (Pietrelcina, 1877 - Pago Veiano, 1958), il quale inizia anche a fregiarsi del titolo di marchese. Trattasi di una figura particolare, non scevra di umani difetti e nemmeno esente da una buona dose di affarismo, anche se collabora con Padre Pio alla costruzione di Casa Sollievo della Sofferenza in Puglia, ed all’erezione del Convento dei Cappuccini a Pietrelcina. Orlando viene ricordato come un sobillatore di popolo, quel popolo figlio di ingiustizie secolari, quel popolo che soffriva per la mancanza di terra e di lavoro. Nel 1910 egli fonda un circolo cattolico fra contadini poveri, la cosiddetta “Società di S. Donato”, sbandierando un programma di lotta per la restituzione al Comune dei terreni usurpati dai signori.
Il movimento riscuote successo, riuscendo anche a vincere le elezioni amministrative.

Ma a un certo punto, il prete “populista” abbandona i contadini, si fa adottare come figlio dalla Marchesa Girardi, proprietaria di 800 tomoli di terreno, di cui diviene l’erede. Il popolo di Pago Veiano si sente, chiaramente, tradito dal voltafaccia del battagliero sacerdote. Che, subito dopo l’adozione, grazie a due atti notarili acquista formalmente i tomoli di terra dei marchesi ed il palazzo, con tutti gli arredi. Poi acquista altra terra: ad Arezzo (quelli appartenuti ai Pignatelli), a Livorno ed a Lecce. A Matino, in provincia di Lecce, vi erano quelle che la gente del posto chiamava “le terre della principessa”, poi passate ad un discendente del sacerdote Orlando.

La parabola discendente dei coniugi de’ Girardi continua. I molto anziani, oggi scomparsi, ricordavano Ferdinando de’ Girardi a passeggio lungo corso Margherita, con in bocca la sua pipa vuota, non avendo neppure i soldi per il tabacco.

Rimasta vedova, la principessa Caracciolo terminò i suoi giorni a Pago Veiano, dove si spense il 17 giugno 1931, alle otto del mattino. Aveva ottantasei anni. La sua ultima dimora terrena fu proprio quel palazzo marchesale di Pago Veiano, abbattuto in seguito al sisma del ’62. La scomparsa della nobildonna fu denunciata da due coloni: Antonio Mancino, di anni venticinque, e Luigi Mercuri, sessantenne. Testimoni dell’atto di morte, sottoscritto dall’ufficiale di Stato Civile Nicola De Michele, furono due contadini: Donato Maturo (40 anni) e Luciano Del Tufo (38). Ci sarebbe da chiedersi che fine avesse fatto nel frattempo don Giuseppe Orlando, il quale doveva la sua fortuna ai marchesi adottivi. La marchesa fu sepolta il giorno dopo nel cimitero di Pago Veiano (Archivio Parrocchiale, Registro dei morti, atto sottoscritto da Pasquale Polvere).

Il palazzo appartenuto alla famiglia della marchesa a Torella dei Lombardi è stato oggetto di imponenti lavori di ristrutturazione, costati svariate migliaia di euro.

LUCIA GANGALE

Altre immagini