La luce ombra di Dio. Fede e ragione in Albert Einstein Chiesa Cattolica

Il termine ebraico “dabar” significa “Parola” e non è solo un’espressione verbale ma fatto, evento, realizzazione. La prima parola del Creatore nella Bibbia è: «Sia la luce!» (Genesi 1,39). Così Dio dissipa le tenebre e comunica colore e bellezza alle cose, annullando le tenebre simbolo di morte. L’alba è il sorriso di Dio, celebra il trionfo della vita «Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre» (I Giovanni, 1,5). Questa professione di fede dell’apostolo Giovanni trova piena corrispondenza in Albert Einstein che in un trattato di fisica, mentre parla della luce, fa uno splendido inciso: «La luce... ombra di Dio». Discutendo con Gustavo Adolfo Rol, una volta, alza la mano, la frappone tra la lampada e il tavolo e dice: «Vedi? Quando la materia si manifesta, proietta un’ombra scura, perché è materia. Dio è puro spirito e dunque quando si materializza non può manifestarsi se non attraverso la luce. La luce non è altro se non l'ombra di Dio».

Questa testimonianza dice l’armonia tra la sua fede e la sua ragione.

Albert Einstein nasce a Ulma in Germania nel 1879 e muore a Princeton negli USA nel 1955. Fisico e filosofo tedesco, naturalizzato svizzero e statunitense. Premio Nobel per la fisica nel 1921. Fin da ragazzo approfondisce le varie scienze e si pone alla ricerca del bene e del male. All’Università di Berlino incontra un professore ateo che sfida gli studenti: «Dio ha creato tutto ciò che esiste?». Uno di essi risponde: «Sì, certo!». Il professore continua: «Se Dio ha creato tutto, allora Dio ha creato il male, perché il male esiste e, secondo il principio che afferma che noi siamo ciò che produciamo, allora Dio è il Male». Lo studente lo interrompe: «Professore, le faccio una domanda: il freddo esiste?». «Che razza di domanda è questa? - obietta il professore - Naturalmente, esiste! Hai mai avuto freddo?». Gli studenti sghignazzano. Il giovane replica: «No, professore, il freddo non esiste. Secondo le leggi della fisica, ciò che noi consideriamo freddo è, in realtà, assenza di calore».

Lo studente continua con altri esempi e dimostra che l’oscurità è mancanza di luce, il male mancanza di bene: «Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che succede quando l’uomo non ha l’amore di Dio nel proprio cuore». Tutti si alzano ad applaudire il giovane. Il professore scuote la testa, rimane in silenzio, poi si rivolge al giovane studente e gli domanda: «Qual è il tuo nome?». «Mi chiamo Albert Einstein, signore!». Gli atei cercano di trarre Einstein dalla loro parte fino a proporlo Presidente onorario dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti. Ad essi, sorridendo, il grande scienziato ribadisce: «Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi». Molti pensano che gli scienziati tendono all’ateismo, invece Albert Einstein afferma: «La scienza, contrariamente ad un’opinione diffusa, non elimina Dio. La fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poiché deve proporsi non solo di sapere com’è la natura ma anche di sapere perché la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo».

Lo scienziato afferma che: «La scienza intuisce la presenza del Mistero». Non è suo compito dimostrare se Dio esiste o no. Anzi non può dimostrare la non esistenza. Ma è aperta al divino, come stimolante pungolo per continuare la ricerca della verità. Il vero scienziato è affascinato dall’armonia e bellezza del creato. Non può fare a meno di percepire una Presenza. Se non è incatenato da pregiudizi, ammetterà che Dio esiste, quale necessità per dare un senso a tutto. La fede fa percepire ad Einstein “la musica delle sfere”.

La musica richiama il mistero, la bellezza, il miracolo. Il Mistero è pienezza di luce. Luce che abbaglia e crea stupore, meraviglia. Infatti, etimologicamente “mistero” significa: portare le mani alla bocca a causa di un’esperienza indicibile. Così Einstein scrive a Maurice Solovine: «Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un mistero? Ci si potrebbe, a priori, aspettare un mondo caotico e del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Invece compare il sentimento del “miracoloso”, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere, con successo, non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato di miracoli».

Nella lettera del 3 gennaio 1954, indirizzata al filosofo Erik Gutkind, scrive: «La mia religione consiste in un’umile ammirazione di quello Spirito immensamente superiore che si rivela in quel poco che noi, con il nostro intelletto debole e transitorio, possiamo comprendere della realtà. Voglio sapere come Dio creò questo mondo. Voglio conoscere i suoi pensieri, in quanto al resto, sono solo dettagli». Anche se il grande scienziato, di famiglia ebraica, non riconosce l’idea trascendente del Dio di noi cristiani, parla della necessità di postulare un Creatore immanente come spiegazione ultima della realtà. Einstein, pur non riuscendo a credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, lo ammira moltissimo e come Gandhi lo percepisce come un uomo perfetto che ha cambiato la storia del genere umano.

Prima di morire lo scienziato dichiara: «Chi non ammette l’insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato». La recente scoperta delle onde gravitazionali ha confermato la grandezza della costruzione intellettuale di Einstein nella comprensione del creato. Queste onde, increspature leggere del tessuto spazio-temporale, erano state intuite dalla teoria della relatività generale, proprio un secolo fa. L’universo reagisce a quanto contiene e pulsa una vita che ancora ci incanta e sorprende, generando in noi lo stupore.

PASQUALE MARIA MAINOLFI