I platani della stazione di Porta Rufina ovvero la differenza tra potatura e capitozzatura Ambiente

Ci siamo troppo abituati a vivere nel conformismo di un estetica ingabbiata nella rappresentazione del pulito, recintato, curato, specializzato, senza ostacoli; a poter espletare azioni senza rispetto, senza nesso, senza preoccuparci dell’incolumità di altri esseri viventi. Per esempio sappiamo bene che i nostri fratelli alberi non sono ancora stati riconosciuti pienamente nei loro diritti, li sentiamo ancora estranei alla nostra cosiddetta civiltà organizzata, comoda, evoluta. Per molti abitanti della città, gli alberi sono solo un orpello sullo sfondo urbano.

Nel mondo agricolo, la potatura degli alberi è un male necessario, che ha valido riconoscimento scientifico e colturale. Impossibile, infatti, ricavare frutti da un vigneto, da un frutteto specializzato senza il necessario intervento di un esperto potatore, che sa scegliere tra brindilli, lamburde, gemme a frutto, gemme a legno, elimina i succhioni e dà una funzionalità estetica alla forma delle piante.

Ancor più attenzione, tuttavia, si deve porre alla potatura in città di alberi monumentali, come i platani, gli aceri platanoidi, maestosi, possenti, funzionali alla vitale simbiosi con gli esseri umani; allora le azioni vanno liberate dalle incolte, istintive e personali interpretazioni che si possono avere riguardo al mondo vegetale, al contrario di quanto accaduto a Benevento e che possiamo verificare nella rozza capitozzatura dei platani che costeggiano il viale di accesso alla stazione di Porta Rufina.

È chiaro che il verde pubblico, oltre alla funzione vitale, ne ha anche una ornamentale, identitaria, storica; pertanto le specie arboree presenti nella città vanno tutelate giuridicamente, conservate come monumenti, assistite, curate. Anche le scelte politiche, sicuramente invadenti e a volte compromesse con interessi altri, come si è visto per il caso ancora irrisolto dei pini del Viale degli Atlantici, devono abituarsi a queste future e cogenti scelte di prospettiva come la tutela degli alberi, perché la trascuratezza o, peggio, la loro compromissione ci farà pagare il prezzo più alto: la sopravvivenza stessa della nostra specie animale.

Nei tronchi bitorzoluti rimasti dopo la drastica capitozzatura dei platani beneventani c’è l’incapacità di concepire il bello; essi recano i segni di ripetuti tagli indiscriminati, che li hanno privati del loro levigato aspetto naturale; sono stati ridotti a torsoli, privati delle branche del primo giro, in modo che producano poi solo rami esili. Questa vecchia pratica ha come risultato una deformazione estetica del tronco-chioma, ma più pericolose sono le conseguenze per la vita delle piante e, come dimostrato, anche irreversibili.

I tagli indiscriminati alle branche degli alberi li rendono vulnerabili alle patologie e agli attacchi degli insetti, indebolendo la loro struttura nel tempo e accorciandone la vita, ne altera lo stato fisiologico; essi saranno costretti a usare le riserve energetiche non per le naturali fasi vitali, ma per ripristinare i loro laboratori fotosintetici: le foglie, altrimenti morirebbero di fame. Si crede (ingenuamente o maliziosamente?) che la capitozzatura riduca il fabbisogno energetico delle piante; al contrario, con tale pratica esso aumenta notevolmente, perché l’albero deve rigenerare gli organi della sua autotrofia. Benevento ha un unico viale delimitato da platani; non esiste nella nostra città un altro posto dove ci siano quegli alberi di antica data e, con quella stazioncina sul fondo, è un luogo quasi romantico.

A Saint Rémy di Provence, come in tutta la Francia, i platani sono una presenza costante. Le meravigliose gallerie formate dai loro rami accolgono i visitatori di quella cittadina. Addirittura, su internet, le foto di questi viali di platani all’ingresso del paese si possono scaricare solo a pagamento, perché la bellezza ha anche un valore economico, ma questo concetto potrebbe essere troppo raffinato per chi a Benevento ha eseguito quei tagli, per chi pensa che quei platani diano fastidio, perché perdono le foglie e poi occorre ripulire il viale. Eppure, senza di noi, il mondo vegetale ha, nel suo spirito immortale, la forza di riprendersi tutti gli spazi.

PAOLO DE CICCO

Dottore Agronomo

Foto di M. Falocco 

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