Il boschetto di Piana Romana: svanita la magia di quel ritrovo sacro Ambiente
Recentemente sono tornato a Benevento in occasione della prima comunione di uno dei miei pronipoti, Francesco: stesso nome di battesimo di Francesco Forgione, San Pio da Pietrelcina
Ritornare nella mia città natale mi riempie di gioia e di malinconia, purtroppo anche di tristezza perché i miei amati genitori non ci sono più, accolti nelle braccia del Signore, come i miei nonni e tanti altri miei cari.
Quando abbandono l’autostrada ed inizio a percorrere la martoriata fondo valle telesina, i miei occhi si riempiono di luce e di verde.
Si nutrono alla vista dell’imponente massiccio del Matese che alla mia destra si alza maestoso e poi sulla sinistra appare l’ubertosa sagoma del Taburno, che mano a mano si distende, finché non giungo a Benevento e posso godere dell’infinita dolcezza di questa bellissima montagna che prende la forma sinuosa della Dormiente del Sannio.
Ogni volta, l’indomani del mio arrivo, mi reco spinto da una pulsione forte a Piana Romana, luogo di tante sofferte preghiere, dolorose invocazioni di aiuto, ferventi ringraziamenti e poi la susseguente, serena e metafisca meditazione nel boschetto, adiacente alla chiesetta dell’olmo.
Per tanti lustri per me quel luogo è stato un ristoro per la mente, il cuore ed il corpo: lì mi riconciliavo con me stesso, con la natura, con l’universo.
Le stesse sensazioni le hanno vissute tante persone che hanno condiviso questa emozione di pace e serenità, in un luogo ove si respirava l’afflato della presenza di Padre Pio.
Mi ricordo pomeriggi assolati, di afosi agosti beneventani ove era impossibile porre un piede fuori dall’uscio perché la canicola, come spietato killer, era pronta ad investirti di vampate di calore, che sembravano originate dall’inferno.
Attendevo che l’infuocato sole si adagiasse al di là della Dormiente e cosi potevo far uscire la mia sofferente mamma per poterci recare nel boschetto di Piana Romana: luogo magico, dove soffiava una dolce brezza rinfrescante, donante tanto sollievo.
Ho usato volutamente il termine magico perché di questo si trattava e come volutamente coniugo il tempo al passato, perché l’irrazionale follia umana, nel nome di idoli e mode culturali, guidata dalla sete del raggiungimento di risultati e di ricchezza, sta sacrificando il luogo magico ove sono apparse le stimmate.
Il boschetto è ormai pressoché distrutto per fare spazio al progetto “riqualificazione di immobili per il potenziamento del turismo religioso” che si traduce nel concreto nella “realizzazione di un percorso pedonale in pietra adiacente alla chiesa dell’olmo” nell’ambito del Centro di spiritualità in Piana Romana: ahimè la spiritualità si realizza per mettere quattro sassi, distruggendo un luogo sacro.
Ho cercato di reperire su vari siti istituzionali il progetto esecutivo, ma al di là delle risultanze del bando di gara, non vi è altro che una foto su un cartello esposto da un lato della costruenda opera.
Dalla visione del cartello si nota il percorso pedonale, piantumato da una trentina di piante, di cui non è dato sapere la specie, le dimensioni, le capacità di ombreggiamento, il tipo di resistenza alla variabilità atmosferica e climatica. Può darsi che nella progettazione tutto ciò si stia previsto e mi auguro che venga su un bel sito florido ed accogliente.
Lo auspico vivamente perché l’importo dei lavori, per la realizzazione del percorso pedonale in pietra, è pari ad euro 1.030.000,00. Senza dubbio una cifra considerevole e molto elevata, con la speranza che si traduca in un vantaggio per Pietrelcina.
Evidentemente Piana Romana subisce le medesime traversie che in vita ebbe San Pio: la sua vicenda umana, pur essendo ricca di avvenimenti misteriosi , ed inspiegabili, derivanti dal possesso di innumerevoli facoltà, è stata sempre contraddistinta da intense manifestazioni di fede popolare, molto spesso accolte con molta diffidenza e tantissimo scetticismo da una buona parte della Curia Romana e, non solo da quella.
La vicenda di Padre Pio ha origini in un humus culturale che è frutto di concezioni del mondo, di visioni dell’umanità che solo in questa parte del pianeta hanno assunto forme, modi, costumi, tradizioni, riti, cerimonie dove magia e civiltà si sono coniugate nei secoli, come meravigliosamente descritte, analizzate ed spiegate da Ernesto De Martino, insigne antropologo e profondo studioso della cultura popolare del Sud.
Forse una lettura di alcune opere di questo scienziato avrebbe fatto comprendere, come alcune espressioni magiche abbiano avuto un sincretico rapporto con la religione cattolica: soprattutto nella funzione sociale e religiosa della presenza, della testimonianza che si concretizza nell’esserci dell’uomo nel proprio cammino esistenziale, quando la realtà viene minacciata, scossa, destabilizzata e sconvolta da eventi esterni (guerre, catastrofi naturali, carestie, pandemie) e da drammi e tragedie personali (lutti familiari, malattie, invalidità, perdita del lavoro, violenze fisiche e morali).
Pietrelcina, nella sua rappresentazione iconica di Piana Romana, racchiude il paradigma di culture diverse di un Sannio che nella sua millenaria storia è stato il crocevia del pensiero occidentale e del pensiero orientale. Chi conosce profondamente la nostra storia, soprattutto attraverso la ricchezza della città di Benevento, dove sopravvivono fortunatamente vestigia di varie civiltà e dove sono conservate opere, sa quale crocevia di culture sia la nostra terra.
Forse nello scrivere mi sono fatto prendere da una forte adesione emotivo-affettiva che nutro per i luoghi natali, ove ho trascorso gli anni gioiosi e spensierati dell’infanzia e dell’adolescenza.
Poi ho un forte legame con Piana Romana, perché la prima volta che mi recai bambino fui accompagnato da mio padre, che mi fece comprendere il grandissimo significato del sacro sito, ove si verificò per la prima volta il miracolo delle stimmate.
Lui amava Pietrelcina e Piana Romana; spesso nelle sue opere e poesie ha sempre descritto quei luoghi sacri e, nel contempo magici. Ha spesso evidenziato la forte sensibilità religiosa dei cittadini di Pietrelcina, che lui prediligeva chiamare nell’antica versione “i pucinari”.
Ho scritto queste piccole e modeste riflessioni perché come ho avvertito per vari decenni l’atmosfera magica del boschetto di Padre Pio, alla stessa stregua ho avvertito una fredda sensazione di desolazione: la magia di quei sacri luoghi è svanita per sempre.
ADOLFO RAMPONE