Inquinamento e moda... Ecco cosa c'è dietro un bel capo Ambiente

Beviamo da bicchieri e bottiglie usa e getta, utilizziamo strumenti usa e getta e indossiamo vestiti usa e getta. Siamo la generazione della rapidità, dai sentimenti che proviamo alle cose che usiamo.

Viviamo di mode passeggere, aspettiamo con ansia l’uscita delle nuove scarpe del momento per poi dimenticarcene dopo pochi mesi.

Abbiamo chiesto alla Terra di adattarsi ai nostri comportamenti irresponsabili, pretendendo di poter produrre in maniera infinita su un mondo finito. Secondo i ricercatori del National Center for Climate Restoration, però, è giunto il momento di svegliarsi poiché, continuando in questo modo, entro il 2050 il riscaldamento globale supererà i tre gradi centigradi, innescando disastrosi mutamenti dell'ecosistema. Parliamo continuamente di emergenza climatica, ma in pochi realmente sanno come potrebbero aiutare il pianeta a sopravvivere.

La maglietta che compriamo a cinque o dieci euro, le scarpe che mettiamo di rado e quei jeans che si strappano ogni due mesi sono la terza causa di inquinamento al mondo. Il problema parte dallo stesso materiale: il poliestere, il più utilizzato dalle catene d’abbigliamento, viene prodotto con la stessa materia che si trova nelle bottiglie di plastica.

Le fibre microplastiche presenti in questo tessuto sintetico (circa 19000 per ogni singolo indumento) poi vengono rilasciate nei nostri oceani, dove minacciano gli ecosistemi e finiscono nella nostra catena alimentare. L’industria dei marchi fast fashion, questo il nome per indicare tutte quelle catene che producono una grande quantità mensile di capi d’abbigliamento, non solo sta distruggendo la nostra Terra, ma anche i suoi lavoratori. Per la maggior parte collocati in Bangladesh e India, i grandi brand sfruttano gli operai fino allo sfinimento, pagandoli con stipendi inaccettabili (un lavoratore bengalese guadagna 27 centesimi all’ora e lavora per 60 ore a settimana).

La soluzione per mettere fine a questo processo di autodistruzione è limitare, se non addirittura eliminare, i propri acquisti in queste grandi catene e in altri noti marchi che collaborano ad un sistema ormai insostenibile. Moda sostenibile significa essere attenti non solo all’ambiente (come, con il Green Washing, molte aziende vogliono farci credere), ma esserlo anche con le persone che lavorano nel campo e collaborano alla creazione di un capo. Il primo passo verso il cambiamento è l’essere consumatori consapevoli.

Compriamo da negozi nel nostro paese, da artigiani locali, ma anche da realtà maggiori che guardano al futuro con trasparenza e passione. Riscopriamo il valore dell’autenticità, del “fatto a mano” e, in un momento economicamente così complicato, anche del Made In Italy. Indossiamo gli abiti dei nostri genitori e nonni, adattandoli al nostro stile, oppure compriamo da negozi dell’usato e vintage, trasportandoci ogni giorno in un’epoca differente.

Non sosteniamo chi sceglie il vantaggio economico sopra il valore morale, anzi, diventiamo così tanto consapevoli da essere da loro temuti. Una maglia non è mai solo una maglia, dietro ad essa vi è un sistema che distrugge la nostra Casa, donne come le nostre madri o sorelle e industrie che puntano solo al profitto.

SABRINA CASALE