16 Giugno 2002: Padre Pio è santo Enti
E’ inutile girare attorno alla questione. Diciamo subito che è stata sprecata una occasione.
La canonizzazione di Padre Pio, grazie alla ripresa diretta di Raiuno, metteva di fronte le due realtà che, più di ogni altra, intendono avvantaggiarsi della perpetuazione della venerazione del nuovo Santo: Pietrelcina e San Giovanni Rotondo.
Ebbene, i servizi provenienti da Pietrelcina non hanno affatto rappresentato Pietrelcina. Una signora ammalata poteva dire le cose che ha detto in qualunque altra parte del mondo. I due dirigenti dell’UNITALSI potevano essere di qualsiasi altra città italiana. Il campanile inquadrato poteva essere un banale campanile di una delle tante chiese di periferia che imbruttiscono il già desolante paesaggio delle periferie urbane. E la facciata della chiesa non era una facciata, perché quella non è neanche una chiesa.
Il sindaco Masone si affanna a sottolineare che Pietrelcina non è San Giovanni Rotondo, ma la TV non ha reso un messaggio coerente alle intenzioni del primo cittadino.
Anche io, infatti, sono straconvinto che San Giovanni Rotondo e Pietrelcina sono due cose lontane e diverse. A San giovanni Rotondo c’è il convento e la chiesa che videro Padre Pio nel pieno delle sue vicende. E c’è la Casa Sollievo della Sofferenza, sicuramente un’opera importante ed imponente e, oggi, un grande ospedale. Ma non c’è nulla che abbia a che fare con la vita, l’ambiente, la cultura contadina di cui Padre Pio fu ed è espressione.
San Giovanni Rotondo è un paesone cresciuto senza una precisa vocazione, se non quella dello sfruttamento turistico-alberghiero.
Pietrelcina conserva, invece, un centro storico antico, che è stato restaurato con intelligente cura, il quale dà la dimensione umana e sociale del tempo della vocazione di Padre Pio. La casa dove nacque, la torretta dove si isolava a studiare, i vicoli e la chiesa dove egli passò ripetutamente, le cose che lui ha toccato e che lo toccarono sono tutte lì, sicché anche i turisti non pellegrini possono toccarle.
A Pietrelcina si può respirare, e si respira, un’aria che si rifà ad una atmosfera che non è trasferibile in nessun altro luogo. La via del Rosario e il tronco dell’olmo a piana Romana sono percorsi che, per quanto manomessi, si rifanno ad un tracciato che non sta soltanto nell’immaginario collettivo.
Se anziché posizionarsi sulla spianata di piana Romana, la troupe della TV di stato si fosse messa nel paese, avrebbe offerto una immagine di un luogo che può diventare irripetibile. Lo stesso maxischermo poteva essere piazzato in vista della Chiesa del paese, le inquadrature avrebbero trasmesso un senso di folla anziché un senso di vuoto.
E’ mancata quel che si dice la sinergia.
Se, infatti, si volevano far arrivare cinquantamila pellegrini, mentre trecentomila stavano a Roma e centomila dovevano essere a San Giovanni Rotondo, non bisognava cominciare a gridare che già tutto era esaurito da giorni, né bisognava allarmare oltremisura chiudendo al traffico tutte le strade, come se veramente ci sia gente, nel 2002, che in una torrida giornata di giugno abbia vaghezza di farsi scarrozzare dai bus navetta.
Diciamo che Padre Pio si è divertito a fare un altro scherzo dei suoi. Ha fatto capire quanto siamo superbi e presuntuosi.
E’ necessaria, invece, l’umiltà.
Pietrelcina deve assolutamente preservare quello che ha. Poi, solo in un secondo momento (sia logico che temporale), deve pensare a fare altro.
Il primo comandamento è il recupero di tutto ciò che è appartenuto alla storia personale di Padre Pio. Le pietre della via del Rosario che furono calpestate dal Santo devono essere tutte recuperate, ad una ad una, mettendolo in evidenza con tutti gli accorgimenti consentiti dalle tecniche comunicative di oggi.
Le chiese che Padre Pio frequentò devono tornare tutte, attraverso restauri e ripristini, nello stato in cui egli le conobbe. La gente deve poter toccare la porta della chiesa che Lui sicuramente toccò con le sue mani piagate. Gli altari e tutta la suppellettile del tempo, ancorché povera – e magari proprio perché testimone di quella povertà – devono tornare al loro posto. Ciò che va buttato è tutto il moderno che, in una sbornia di falsa cultura, ha ucciso le atmosfere che, invece, il pellegrino vuol ricreare.
Se a San Giovanni Rotondo Renzo Piano realizza la megachiesa con gli archi di pietra di Apricena (che forse andranno anche sui libri di storia dell’arte), a Pietrelcina bisogna salvaguardare la specificità, senza inseguire modelli che non ci appartengono.
Non ho intenzione di far recintare Pietrelcina. Spero, invece, che si realizzino, in un comprensorio intercomunale, opere adatte e capaci di guadagnarsi il rispetto dei visitatori. Ho già ricordato più volte una idea di Via Crucis che da Benevento a Pietrelcina si può concretizzare in quattordici stazioni-monumento, opere di diversi artisti di diverse parti del mondo. Non rifiuto la opportunità – anzi la benedico – di sfruttare (sì, sfruttare) per lo sviluppo sociale ed economico il vero miracolo che Padre Pio sta facendo per la sua povera (ex povera) terra.
Ma non rimbambiamoci al punto da mostrare ai 5 milioni di persone che hanno seguito in TV la cerimonia di canonizzazione le opere dei monaci e le opere dei sindaci che sono venuti dopo la morte di Padre Pio.
In altri termini, se il protagonista benemerito e santificato di questo miracolo è Lui, bisogna mostrare solo e sempre gli angoli che Gli appartennero.
Sono essi, infatti, il richiamo irresistibile. Il resto tutto il resto – alberghi, auditorium, sale convegni, gabinetti pubblici e ristoranti – sono cose essenziali e si devono anche fare e mantenere. Ma bisogna dare per scontato che ci siano.
C’è il rischio, altrimenti, che passi per la testa di qualcuno (monaco incluso) che bisogna mettere a nuovo casa Forgione, piazzandovi un letto nuovo in legno satinato.
Magari pure col piumone.
MARIO PEDICINI
(Realtà Sannita n. 11 / 16-3O giugno 2002)
La canonizzazione di Padre Pio, grazie alla ripresa diretta di Raiuno, metteva di fronte le due realtà che, più di ogni altra, intendono avvantaggiarsi della perpetuazione della venerazione del nuovo Santo: Pietrelcina e San Giovanni Rotondo.
Ebbene, i servizi provenienti da Pietrelcina non hanno affatto rappresentato Pietrelcina. Una signora ammalata poteva dire le cose che ha detto in qualunque altra parte del mondo. I due dirigenti dell’UNITALSI potevano essere di qualsiasi altra città italiana. Il campanile inquadrato poteva essere un banale campanile di una delle tante chiese di periferia che imbruttiscono il già desolante paesaggio delle periferie urbane. E la facciata della chiesa non era una facciata, perché quella non è neanche una chiesa.
Il sindaco Masone si affanna a sottolineare che Pietrelcina non è San Giovanni Rotondo, ma la TV non ha reso un messaggio coerente alle intenzioni del primo cittadino.
Anche io, infatti, sono straconvinto che San Giovanni Rotondo e Pietrelcina sono due cose lontane e diverse. A San giovanni Rotondo c’è il convento e la chiesa che videro Padre Pio nel pieno delle sue vicende. E c’è la Casa Sollievo della Sofferenza, sicuramente un’opera importante ed imponente e, oggi, un grande ospedale. Ma non c’è nulla che abbia a che fare con la vita, l’ambiente, la cultura contadina di cui Padre Pio fu ed è espressione.
San Giovanni Rotondo è un paesone cresciuto senza una precisa vocazione, se non quella dello sfruttamento turistico-alberghiero.
Pietrelcina conserva, invece, un centro storico antico, che è stato restaurato con intelligente cura, il quale dà la dimensione umana e sociale del tempo della vocazione di Padre Pio. La casa dove nacque, la torretta dove si isolava a studiare, i vicoli e la chiesa dove egli passò ripetutamente, le cose che lui ha toccato e che lo toccarono sono tutte lì, sicché anche i turisti non pellegrini possono toccarle.
A Pietrelcina si può respirare, e si respira, un’aria che si rifà ad una atmosfera che non è trasferibile in nessun altro luogo. La via del Rosario e il tronco dell’olmo a piana Romana sono percorsi che, per quanto manomessi, si rifanno ad un tracciato che non sta soltanto nell’immaginario collettivo.
Se anziché posizionarsi sulla spianata di piana Romana, la troupe della TV di stato si fosse messa nel paese, avrebbe offerto una immagine di un luogo che può diventare irripetibile. Lo stesso maxischermo poteva essere piazzato in vista della Chiesa del paese, le inquadrature avrebbero trasmesso un senso di folla anziché un senso di vuoto.
E’ mancata quel che si dice la sinergia.
Se, infatti, si volevano far arrivare cinquantamila pellegrini, mentre trecentomila stavano a Roma e centomila dovevano essere a San Giovanni Rotondo, non bisognava cominciare a gridare che già tutto era esaurito da giorni, né bisognava allarmare oltremisura chiudendo al traffico tutte le strade, come se veramente ci sia gente, nel 2002, che in una torrida giornata di giugno abbia vaghezza di farsi scarrozzare dai bus navetta.
Diciamo che Padre Pio si è divertito a fare un altro scherzo dei suoi. Ha fatto capire quanto siamo superbi e presuntuosi.
E’ necessaria, invece, l’umiltà.
Pietrelcina deve assolutamente preservare quello che ha. Poi, solo in un secondo momento (sia logico che temporale), deve pensare a fare altro.
Il primo comandamento è il recupero di tutto ciò che è appartenuto alla storia personale di Padre Pio. Le pietre della via del Rosario che furono calpestate dal Santo devono essere tutte recuperate, ad una ad una, mettendolo in evidenza con tutti gli accorgimenti consentiti dalle tecniche comunicative di oggi.
Le chiese che Padre Pio frequentò devono tornare tutte, attraverso restauri e ripristini, nello stato in cui egli le conobbe. La gente deve poter toccare la porta della chiesa che Lui sicuramente toccò con le sue mani piagate. Gli altari e tutta la suppellettile del tempo, ancorché povera – e magari proprio perché testimone di quella povertà – devono tornare al loro posto. Ciò che va buttato è tutto il moderno che, in una sbornia di falsa cultura, ha ucciso le atmosfere che, invece, il pellegrino vuol ricreare.
Se a San Giovanni Rotondo Renzo Piano realizza la megachiesa con gli archi di pietra di Apricena (che forse andranno anche sui libri di storia dell’arte), a Pietrelcina bisogna salvaguardare la specificità, senza inseguire modelli che non ci appartengono.
Non ho intenzione di far recintare Pietrelcina. Spero, invece, che si realizzino, in un comprensorio intercomunale, opere adatte e capaci di guadagnarsi il rispetto dei visitatori. Ho già ricordato più volte una idea di Via Crucis che da Benevento a Pietrelcina si può concretizzare in quattordici stazioni-monumento, opere di diversi artisti di diverse parti del mondo. Non rifiuto la opportunità – anzi la benedico – di sfruttare (sì, sfruttare) per lo sviluppo sociale ed economico il vero miracolo che Padre Pio sta facendo per la sua povera (ex povera) terra.
Ma non rimbambiamoci al punto da mostrare ai 5 milioni di persone che hanno seguito in TV la cerimonia di canonizzazione le opere dei monaci e le opere dei sindaci che sono venuti dopo la morte di Padre Pio.
In altri termini, se il protagonista benemerito e santificato di questo miracolo è Lui, bisogna mostrare solo e sempre gli angoli che Gli appartennero.
Sono essi, infatti, il richiamo irresistibile. Il resto tutto il resto – alberghi, auditorium, sale convegni, gabinetti pubblici e ristoranti – sono cose essenziali e si devono anche fare e mantenere. Ma bisogna dare per scontato che ci siano.
C’è il rischio, altrimenti, che passi per la testa di qualcuno (monaco incluso) che bisogna mettere a nuovo casa Forgione, piazzandovi un letto nuovo in legno satinato.
Magari pure col piumone.
MARIO PEDICINI
(Realtà Sannita n. 11 / 16-3O giugno 2002)