Passando per Cerreto, sulle tracce delle dee… Enti

Io ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un lembo di dorsale appenninica campana meraviglioso, un gioiello dal punto di vista naturalistico, storico, architettonico. Il mio gioiello è Cerreto Sannita, eccezionale esempio architettonico post sismico, impareggiabile alcova d’arte e di cultura. Nello specifico, dimoro nello squisito lembo di campagna cerretese intitolato alla bella Madonna della Libera. Eppure il passato, le radici, per un lungo lasso di tempo mi sono state occultate e lo sarebbero ancora oggi se, per uno strano scherzo del destino, perché a volte la burocrazia, grazie a Dio, trova degli intoppi, non fosse riemerso, al pari di una fenice che risorge dalle proprie ceneri, un plesso archeologico in piena regola, stupefacente!

Ma procediamo con ordine. Sorge giustappunto a 500 mt di altezza, la bella chiesa rupestre di Madonna della Libera in Campo dei Fiori, nome che ottenne da un tale Capitano Romano detto Fiore. Essa sovrasta il bel centro che riposa più a valle, accarezzato a manca e a dritta da due birichini corsi d’acqua, che per secoli, generosi, hanno fornito le argille atte a fabbricare le stupende ceramiche cerretesi. Innumerevoli dibattiti si sono poi susseguiti, impegnando gli storici locali in merito al periodo di edificazione di detta Chiesa. Per alcuni, infatti, essa sarebbe stata edificata a seguito della peste del 1656 e visto che, come ricorda un canto in vernacolo che ancora echeggia in questi luoghi, il male cessò non appena la statua della Madonna fu condotta in processione, furono donate, tante e tali offerte che permisero di edificare la struttura.

Per altri, invece, esisteva già una piccola struttura rupestre edificata “….di grosse pietre quadrate, e poste una sopra l’altra senza calcina, delle quali pietre fino a qualche tempo fa ne veggono alcune sparse per quelle campagne. Era nulladimeno la Chiesa assai angusta, e vi si adorava una statua della Vergine scolpita in legno colorito, e il suo titolo era di Santa Maria della Libera. Durò questo culto fino all’anno 1656, quando dilatatosi per tutto il Regno il male epidemico, attaccossi anche in Cerreto.” Questa testimonianza ci giunge da un libro edito nel 1715 dall’Ordine dei Padri Predicatori che porta il seguente titolo: “ Le dodici Province del Regno di Napoli”, capitolo “Stella XXXII del segno di Ariete”. Tale testimonianza ci giunge per volontà d’un cittadino innamorato, perdutamente, follemente della sua Cerreto: l’Architetto Lorenzo Morone, che incessantemente, chiede, reclama, pretende che i tesori del proprio paese vengano portati alla luce. Non fu ascoltato. Così, durante i lavori che dovevano portare a lastricare tutta l’area antistante la Chiesa, il sito archeologico riemerse!

A seguito dei lavori portati avanti dalla Sovrintendenza Archeologica di Salerno si è scoperto che quelle pietre squadrate, sulle quali mi arrampicavo da bambina, erano il podio interrato di un antichissimo tempio Sannitico, sono poi riemersi il muricciolo della corte, la pietra sacrificale e così via.

A questo punto, assodato che il sito archeologico esiste e che la Chiesa realmente è stata edificata sulla cella di un tempio Sannita, viene naturale chiedersi: “Chissà a quali culti era adibito il tempio Sannita?” Io almeno me lo chiedo, essendo un’inguaribile curiosa.

Una cosa è certa, da sempre a questi luoghi è legato il nome della Dea Flora. E chissà che le assonanze in termini di dimensioni del tempio rispetto ad altri siti del Sannio Molisano, non coincidano anche per i culti. Questo non lo sappiamo, ma automaticamente la mente ricorre ad uno straordinario ritrovamento, quello della Tavola Osca (attualmente si trova presso il British Museum di Londra!), detta anche Tavola di Agnone per il luogo ove fu rinvenuta. Si tratta di una piccola tavoletta di bronzo, che rappresenta la più importante iscrizione in lingua Osca. Su di essa si trovano i riferimenti ad un santuario dedicato alla dea Cerere, calendarizza, inoltre, i riti che qui si svolgevano e ci elenca le varie divinità che si adoravano nel tempio. Vi troviamo appunto Cerere alla quale era intitolato il santuario, la dea Persefone sua figlia, Ercole, Cerere ancora venerata nelle sue varie sembianti di ninfee, Giove e la dea Flora.

Proprio al tempo della Floralia, presso il santuario, si doveva sacrificare a quattro divinità, ci racconta ancora la Tavola di Agnone. Potrebbero esserci delle assonanze. Volendosi spingere ancora oltre, ci viene naturale fare un ragionamento riferito all’appellativo stesso della Madonna “della Libera” appunto, proprio per quel lavoro di sovrapposizione ai culti pagani portato avanti dalla Chiesa Cristiana. Libero era l’antico dio Italico della fecondità, del vino e dei vizi, che si può identificare con il Dioniso greco e il Bacco romano. Egli aveva per compagna la dea Libera che più spesso viene identificata con la dea Persefone, proprio lei, la Persefone figlia della dea Cerere che fu rapita da Plutone e condotta nel tartaro per divenire sua sposa. Da qui il mito di Cerere che, talmente adirata per la perdita della figlia, si rifiutò di far germogliare la vita sulla terra finchè non l’avesse riavuta. Così, complice un tale, che non facendosi gli affari propri, asserì che Persefone aveva mangiato sette chicchi di melograno, il cibo dei morti, si arrivò al compromesso che la rapita, trascorresse metà dell’anno con il marito e l’altra metà in compagnia di “mammà”. Per questo motivo abbiamo ancora l’alternanza delle stagioni, perché Cerere senza la figlia non ci sa proprio stare e quando non ce l’ha accanto si rifiuta di lavorare.

Ma troviamo ancora un’altra assonanza, il culto di Cerere era inizialmente associato a quello, delle antiche divinità rustiche di Libero e Libera. In fine, spesso la dea Flora viene assimilata alla stessa dea Cerere, divinità materna della terra e della fertilità, ma anche della nascita, poiché tutti i fiori, la frutta e le cose viventi erano ritenute suoi doni.

Così, immersa in simili congetture, la mente è libera di divagare, di immaginare quei luoghi a noi da sempre familiari, da un’angolazione diversa, con l’occhio rivolto a quegli esseri che furono prima di noi, che calcarono i nostri suoli tanti, tanti lustri fa magari spinti dalle medesime paure, gli stessi conflitti interiori, le stesse gioie che compongono la straordinaria natura umana.

GIANNA D’ANDREA

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