C'erano una volta i 'cantonieri'... Politica

Le recenti sciagure dovute ai copiosi nubifragi, a distanza di qualche giorno dagli avvenimenti, danno la possibilita' di riflettere sia sulla prevenzione sia sull'emergenza. Da tempo e' stata abbandonata la strada della salvaguardia del territorio, come minimo a quella naturale predisposizione, soprattutto mentale, a individuare e porre rimedio ai guasti moderati, in vario modo prodotti.

Mio padre ricorda e racconta ancora del lavoro certosino che facevano i cantonieri, i lavoratori assegnati alla cura delle strade, che per necessità d’occupazione alloggiavano nelle case chiamate proprio cantoniere. Parevano, quelle strutture, dei capisaldi di protezione, davano un senso di rispetto e di conforto, non fosse altro per quel colore rosso pompeiano che le segnava. Oggi appaiono, sempre quelle case, come ancestrale retaggio di una cultura da tempo sepolta e ripudiata.

Facendo un necessario intermezzo possiamo affermare che una novella sensibilità verso la natura, di tipo vagamente scientifico, si può far risalire alla cultura romantica e sue ramificazioni (Thoreau, Ruskin, Reclus) e per circa un secolo ha vissuto, a larghe sfere, di inerzia e disinteresse. Solo nel periodo fascista, e precisamente nel 1939, furono promulgate due leggi innovative la 1089 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico) e la 1457 (Protezione delle bellezze naturali), che hanno resistito fino alla fine del secolo XX.

Sono seguite le abolizioni e le innovazioni normative, e il naturale crollo e abbandono delle esperienze sedimentate, dovuto all’incapacità di sostituire, a quel poco che resisteva e che in qualche maniera funzionava, una rivoluzione basata solo su fragili basi speculative. Né le esperienze degli ultimi cinquant’anni (a cominciare dalla diga del Vajont, per poi passare per eruzioni vulcaniche, terremoti, alluvioni, dissesti idrogeologici, questione rifiuti…) hanno condotto a serie riflessioni, non fosse altro che per rimpolpare il gradiente causa (pseudonaturale)/effetto (economico).

E’ pur vero però che hanno contribuito allo sfascio anche gli entusiasmi mal riposti (scellerate applicazioni di creazioni della moderna tecnica), la pericolosa fede in facili e duraturi profitti e le valutazioni ambientalistiche spesso vagamente sociopolitiche e nazionalpopolari di inattuabili nostalgie romantiche o utopistiche innovazioni.

Negli anni più vicini a noi sono cresciute nel nostro Paese le attenzioni verso il territorio, ma la sensazione è che stiamo vivendo ancora una fase sperimentale. I progetti di opere sono accompagnati da una Valutazione di impatto ambientale mentre i piani e i programmi da una Valutazione ambientale strategica e da una Valutazione d’incidenza, studi questi improntati ad una conoscenza specifica sia dell’ambiente sia delle ripercussioni degli interventi sul territorio, sulla flora e sulla fauna. Ben vengano questi studi, ma l’importante è che nelle fasi d’intervento siano recepiti in maniera specifica ed intelligente.

Il giudizio della decadenza del mondo benestante, e del conseguente ritorno alle cose della terra, considerato come necessità di riappropriarsi di una cultura antica e di saperi certi, ha come risvolto della medaglia quello di riconsiderare il mondo rurale come giaciglio spirituale sicuro, vissuto quasi come religione. Un risvolto che potrebbe addirittura diventare negatività, con il rischio che uno stucchevole accomodamento nelle calde braccia di madre terra porti a considerare questa come riparo ma nello stesso tempo come matrigna, nel momento in cui con le sue forze tragiche e distruttive non può in alcun modo competere l’essere umano con la sua cagionevole presenza.

Una seria cultura di conoscenza e di prevenzione diventa dunque necessaria per far fronte alle possibili pericolosità, che rappresentano la possibilità che un fenomeno naturale, o causato dalle attività dell’uomo, possa produrre conseguenze negative sulla popolazione, gli insediamenti abitativi e produttivi e le attrezzature e i servizi pubblici, all’interno di una particolare area, in un determinato periodo di tempo.

Come necessario è considerare il rischio, diverso dal pericolo, che è rappresentato dalle sue possibili conseguenze, cioè dal danno che ci si può attendere. E per stimare realmente un rischio non basta conoscere il pericolo, ma è necessario anche valutare accuratamente il valore esposto, cioè i beni presenti sul territorio che possono essere coinvolti da un evento, e la loro vulnerabilità. Questo potrebbe essere solo il punto di partenza.

UBALDO ARGENIO

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