Alla Regione per fare che Società

Non pochi ritengono che aver garantito tre consiglieri alla provincia di Benevento sia stato un ottimo risultato. Così dispongono le norme regionali sul funzionamento del Consiglio. Il Sannio avrà 3 consiglieri su 60, Napoli ne avrà 33. Significa che gli eletti il 28 e 29 marzo per sprigionare tutto l'amore che nutrono per il Sannio (stando agli slogan sui manifesti) avranno sbagliato posto?

Rimanderemo a dopo la ripresa del dibattito sulle possibilità di andare a contare di più in un Molise allargato. Per adesso i candidati si sforzano di mettere sul tavolo qualche argomento angibile, per accattivarsi le necessarie simpatie. Ma concludere trionfalmente in Prefettura che tutti gli ospedali resteranno là dove sono (con la infelice battuta dell'assessore regionale sul Fatebenefratelli adattabile a museo) è operazione di basso conformismo. Se i nostri candidati pensano di andare al Consiglio Regionale per difendere gli ospedali (che non significa gli ammalati) se ne possono stare tranquillamente a casa.

In Regione c'è, invece, da lavorare per costruire il nuovo organo di rappresentanza e di governo del territorio, in grado di dare piena attuazione a quanto prevede la Costituzione, così come riformata nel 2001.

Bene. L'art. 114 afferma: La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Quest'ordine ha una sua logica, spiegata dal nuovo art. 117. La Costituzione del 1948 attribuiva alle Regioni alcune competenze ed esse solo. Il nuovo articolo 117 imbriglia le competenze dello Stato in un elenco e lascia utto il resto alle Regioni.

Sto parlando della potestà legislativa, non della sola attività amministrativa.

Sono passati otto anni e, per materie sicuramente di competenza regionale, i consiglieri regionali (nonché sottosegretari e senatori, ancorché in udienze separate) salgono le scale della Prefettura.

La nuova Costituzione ha fatto l'elenco delle materie nelle quali lo Stato ha legislazione esclusiva. Poi ha creato una nuova fascia di materie per le quali esiste legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Poi proclama: Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

Tutto, quindi, appartiene alle Regioni, tranne ciò che è espressamente riservato allo Stato. Elemento emblematico di tale capovolgimento di impostazione istituzionale, rispetto alla primitiva organizzazione dello Stato repubblicano, è l'autonomia statutaria delle Regioni. Il fatto, cioè, che ogni regione si dà regole di organizzazione diverse da quelle dello Stato e diverse da quelle di altre Regioni. Molti si sono meravigliati del fatto che il TAR del Lazio abbia deciso la querelle delle liste PDL non ammesse, rimandando al mittente-Stato le rispettive incompetenze. E sì, le elezioni regionali si fanno con legge regionale. Ed è regionale anche la decisione di non esercitare l'autonomia statutaria, lasciando in piedi le vecchie leggi statali: che, però, diventano automaticamente (per una sorta di accoglimento tacito) norme regionali. La Regione, cioè, nel momento in cui non dovesse emanare il proprio statuto, eleggerebbe i suoi organi con la vecchia legge statale, ma questa sarebbe comunque una scelta della Regione e, quindi, la normativa si sarebbe trasferita (e regionalizzata) con un processo di mutazione genetica.

Non sono acrobazie giuridiche, queste. Il fatto è che quella riforma della Costituzione avrebbe dovuto impegnare il Paese (intellettuali, università, centri studi) e le Istituzioni (Parlamento, Governo, Regioni) verso uno sforzo molto impegnativo per disegnare le caratteristiche di uno Stato moderno, fatto per i cittadini liberi titolari di diritti e non per sudditi condannati a subire.

In questi otto anni sarebbero dovute essere le Regioni a forzare la mano per sottrarre allo Stato quel che, invece, a partire dal Governo e dal Parlamento, continua a fare, pur non avendone titolo. Si pensi alla scuola per la quale lo Stato ha questa sola competenza: Norme generali sull'istruzione. Sono orme generali le date di scadenza delle iscrizioni, i criteri per il funzionamento delle scuole sul territorio, gli organici, il dettaglio delle materie di studio per ogni indirizzo?

La Corte Costituzionale (alla quale tanti si appellano per rarre auspici) si è pronunciata in maniera chiarissima. Sulle materie di legislazione concorrente le Regioni possono muoversi, senza bisogno di attendere un invito dello Stato (leggi-cornice e altre abitudini del genere).

Ciò che dice la Corte ha un significato pratico immediato. Recita l'art. 117: La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva...La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia (il corsivo, ovviamente, è mio).

Chi va a lavorare al consiglio regionale, insomma, dovrà fare un elenco di utte quelle materie che non sono di competenza dello Stato. Magari potrà prendere contatto con altre Regioni per fare insieme questo non certo agevole lavoro. Poi dovrà organizzare una schiera di burocrati provvisti di adeguata formazione culturale per preparare i regolamenti di organizzazione e di funzionamento di ogni altra materia (il corsivo è sempre mio).

Il tutto assegnando competenze a Province e Comuni, ai quali ultimi sono attribuite (art. 118) le funzioni amministrative.

Altro che Sannio (e ospedali) nel cuore.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it