Decidono gli indecisi Società

Ultime scaramucce e, finalmente, la parola passerà agli elettori.

E’ stata una campagna elettorale dai toni particolarmente velenosi, e non soltanto perché incentrata sui personalismi. La guerra dei nervi è stata determinata sicuramente dalla circostanza di tre candidati forti e un solo “alternativo”, praticamente fuori gioco. Per oltre un mese “i tre moschettieri”, lungi dall’essere “uno per tutti, tutti per uno”, come nel romanzo di Alessandro Dumas, hanno giocato con la formula “uno contro due”.

Dei tre, il candidato più facilmente pronosticato, vale a dire il sindaco uscente Fausto Pepe, e perciò quello con maggiori carte da giocare nella campagna elettorale, è stato privato sul più bello dello scettro del comando, quando i 21 consiglieri hanno firmato la lettera di dimissioni. Da una posizione di obiettivo vantaggio, perlomeno in termini di visibilità mediatica, Pepe si è trovato a gestire un delicato equilibrio nervoso. Non si è fatto pregare quando s’è trattato di attaccare alcuni suoi ex collaboratori. E non ha lesinato bordate a chi alcuni di costoro ha accolto nella coalizione sfidante.

Le scintille più ricorrenti hanno segnato, infatti, il confronto Pepe-Nardone.

I due candidati a sindaco che più fondatamente sono in grado di contrastare Pepe hanno tardato a ufficializzare la loro partecipazione alla campagna elettorale. Di Nardone s’erano intraviste le ambizioni, ma non si capiva bene su quali alleati potesse contare. Quando è stato chiaro che, oltre al Viespoli in retromarcia da Fini, con lui si schieravano anche Mastella e l’UDC di Santamaria, la preoccupazione in casa Pepe s’è avvertita in tutta la sua logicità.

Il Popolo delle Libertà ha giocato al coperto, facendo filtrare l’attesa di un “colpo grosso” di un personaggio imprestato dalla cosiddetta società civile. La stessa mossa della indicazione di Capezzone a candidato sindaco era apparsa una finta, efficace mossa per preparare il “botto”.

Il nome di Raffaele Tibaldi è stato presentato dallo stesso interessato come un”caso fortuito”, come un regalo inaspettato. Tibaldi ha giocato a fare l’ingenuo, non solo per via dei palloncini regalati ai bambini, ma anche per l’apparente disinteresse verso la zuffa. Ma anche lui non ha potuto esimersi dal lanciare bordate. Più verso il complesso nardoniano, che verso la formazione messa in campo dall’ex sindaco.

E’ Nardone, in ultima analisi, il più attaccato. Significa anche che è il più temuto?

Né Pepe, né Tibaldi affermano di temerlo per la vittoria. Lo temono, allora, per la capacità di erosione dei consensi loro necessari per vincere?

E’ difficile ipotizzare che lunedì sera le urne possano dire già il nome del sindaco del prossimo quinquennio. E’ più probabile che lunedì uscirà fuori il nome dei due eliminati: uno tra i tre moschettieri e il quarto che è il predestinato perdente Medici.

Il campionato finirebbe solo per chi sarà eliminato. Ma gli eliminati non staranno con le mani in mano nei play-off. Per il ballottaggio, i giochi si riaprono. Non tutti quelli che avranno votato per chi avrà perso andranno alle urne il 29 e 30 maggio. La sera del 16 maggio si saprà, però, da che parte potranno stare gli scontenti. E chi tra i due vincenti avrà maggiori possibilità di seduzione nell’accaparrarsi i loro voti. Si tratterà di vedere quanti vorranno rivotare, magari turandosi il naso.

Tutto quello di cui stiamo immaginando un possibile scenario è, tuttavia, in mano agli elettori. In mano al singolo elettore.

Le previsioni più accreditate potranno essere rovesciate da una circostanza per ora non quantificabile: che è, concretamente, determinata da coloro che sarebbero tentati di non andare alle urne, perché scontenti o amareggiati o stanchi o depressi per fatti personali. Gli indecisi e gli incerti difficilmente possono essere assegnati a tavolino a questo o quel raggruppamento. E’ certo, però, che se andassero a votare tutti gli elettori, i sondaggi che stimano le intenzioni di voto solo di chi ha dichiarato che andrà a votare (escludendo, correttamente, gli indecisi) potrebbero rivelarsi inservibili.

E’ il momento “solenne”, quindi, delle responsabilità personali. L’esercizio del voto è un diritto-dovere. La democrazia si sostanzia in questa elementare forma di sovranità. Un voto a testa, individuale e segreto.

In altri termini è proprio come diceva il professore “zio Reno” Romano nello spogliatoio prima della partita: “Chi si ritira dalla lotta, è un gran figlio di mignotta”.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it