Elezioni: riusciranno Facebook e Twitter a salvarci dalla solita minestra? Società

Neanche il tempo di digerire il panettone e siamo subito piombati in piena campagna elettorale. Per i prossimi trenta giorni circa, aspettatevi ogni sorta di promesse, di accuse, d’insulti, insomma il meglio ed il peggio (soprattutto il peggio) che gli uomini politici del nostro paese sanno tirar fuori quando si avvicina l’appuntamento con le urne.

La politica, si dice, è l’arte di dire una cosa e contemporaneamente fare l’esatto opposto, operazione che richiede non poca destrezza. In altri paesi, a quanto sembra, dall’ultimo dopoguerra i partiti sono sempre gli stessi, mentre i candidati cambiano con una certa frequenza. In Italia, i partiti sono diversi ad ogni elezione, mentre i nomi ed i volti sono inesorabilmente i soliti. Ma qualcosa sta cambiando anche nel nostro paese: è il contributo che internet dà e può dare alle campagne elettorali.

Non sono passati nemmeno cinque anni esatti dall’ultima volta che si votò per eleggere il Parlamento, eppure da allora nella rete molte cose si sono mosse. Nel 2008, mentre Obama si era da poco insediato alla Casa Bianca, Facebook era già noto, ma ancora non aveva invaso capillarmente le vite degli internauti come oggi. Anche Twitter esisteva, sebbene in Italia fosse ancora poco diffuso. Ma nell’arco di un lustro questi due social network, in concorrenza tra loro sebbene diversissimi, hanno acquisito un peso imponente nella società, di cui bene o male tutti presto o tardi hanno dovuto rendersi conto.

I primi segni dell’influenza dei social network sulla vita politica si sono fatti sentire nel 2011, in occasione dei referendum abrogativi. Si votava su quattro diversi quesiti, dei quali il più sentito, soprattutto sull’onda degli eventi tragici del Giappone di pochi mesi prima, era quello sull’energia nucleare. Fissati a giugno, come ormai da consuetudine, ci si aspettava che gli elettori disertassero le urne impedendo il raggiungimento del quorum, come avveniva puntualmente dal 1997. Era infatti prassi consolidata da tempo quella di fissare i referendum alle soglie dell’estate, per poi scoraggiare gli elettori a recarsi alle urne lanciando appelli al non voto, mentre nei vent’anni precedenti (dal primo referendum abrogativo, quello sul divorzio, del 1974), le campagne elettorali avevano sempre visto contrapporsi il fronte del sì a quello del no. Dal 1997 in poi, invece, visto che a recarsi a votare era una minoranza sempre più esigua, i sostenitori del no invitavano direttamente a non presentarsi al seggio, allo scopo di far fallire il referendum per mancato quorum. Nel 2011 però si verificò un’inversione di tendenza ed a votare per i quesiti abrogativi furono più della metà degli italiani.

Molto del merito di ciò andava ascritto alle martellanti campagne d’opinione condotte su Facebook: smuovendo le coscienze, diffondendo dati ed informazioni (magari non sempre esatti), la rete era riuscita a scuotere dall’apatia una buona fetta dell’elettorato, soprattutto tra i più giovani, portando alle urne molti che altrimenti sarebbero rimasti a casa a recitare il mantra disfattista “Che voto a fare? Tanto non cambia nulla”.

Anche nella campagna elettorale in corso i social network rivestiranno un ruolo di primo piano, e le forze politiche in lotta ne sono pienamente consapevoli, tanto che ciascuno dei principali partiti (o movimenti) che si contendono i seggi nelle due Camere ha dedicato ampie risorse alla propaganda online. Resta da vedere, e lo scopriremo tra un mese, se i social network avranno un impatto anche sulla composizione del prossimo Parlamento, e in che modo non saprei, o se nonostante tutto neanche Facebook e Twitter riusciranno a salvarci dalla solita minestra.

Saluti dalla plancia,

CARLO DELASSO 

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