Fine delle due chiese Società

Le elezioni politiche del 2013 segnano, per quanto riguarda la nostra realtà beneventana, uno spartiacque. Per la prima volta non risulta esservi candidati (almeno quelli con probabilità di successo) la cui personalità sia stata allevata ed istruita nell’ambito delle due chiese che hanno dominato gli ultimi settant’anni: la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano.

Il vincitore delle primarie organizzate dal PD, che del PCI conserva non tanto l’eredità ideologico-culturale quanto il bouquet delle appartenenze (familiari, associative, sindacali, nostalgiche e quant’altro), non è mai stato comunista. I suoi critici fanno fatica a riscontrarne nel carattere e nell’atteggiamento pubblico qualche traccia di sano socialismo operaio, essendo stata anche la sua esperienza politica vissuta sull’onda di quel “socialismo nuovo” rappresentato da Bettino Craxi, non per niente combattuto dai comunisti come il destabilizzatore maximo.

Umberto Del Basso De Caro, che del PD beneventano ha rivestito la carica di vertice e che ha portato il PD a tenere sia la Provincia che il Comune (mentre tutta la Campania franava verso il conformismo berlusconiano), è detentore di una formazione politica non “di scuola”. Tantomeno “di chiesa”. Sarà l’unico deputato beneventano nello schieramento di sinistra del prossimo parlamento.

Sull’altro versante, quello di centrodestra, la sicurezza di essere eletta ce l’ha solo a Nunzia De Girolamo. De Girolamo è una figura del tutto estranea ai modelli convenzionali del costume politico. Prima di essere candidata al parlamento (e di diventare deputata) non aveva fatto nessuna esperienza “di trafila”. Il suo è un partito virtuale, nel senso di immaginario, cinematografico. Tesseramenti, congressi, votazioni: tutto l’armamentario rituale che rappresentava il modello di formazione e selezione della classe dirigente di un qualunque partito è sostituito da scenografiche proiezioni di desideri captati e shakerati dal sommo capo.

Se Umberto Del Basso De Caro ha fatto politica quando c’erano i partiti, Nunzia De Girolamo è spuntata quando i partiti si stavano sgretolando e il suo (Forza Italia, Popolo della Libertà, quel che ne sarà) è, per definizione, un non-partito. Il taglio netto col passato è certificato da quest’altra constatazione. I quattro uscenti che non sono stati riproposti sono tutti personaggi usciti dagli “impasti formativi” dell’Italia repubblicana. Pasquale Viespoli è stato fin da ragazzo nelle formazioni giovanili del Movimento Sociale Italiano, le cui iniziative pubbliche avevano espliciti riferimenti culturali elaborati nella quotidianità della vita associativa. Costantino Boffa, a vent’anni o poco più, è stato mandato dal PCI a fare il consigliere comunale di Benevento. E’ stato, poi, nella ristrettissima cerchia dei collaboratori di Antonio Bassolino (quasi uno dei coautori della sceneggiatura del decennio bassoliniano alla Regione Campania), prima di diventare deputato. Tra i giovani, Boffa potrà essere classificato come l’ultimo dei “fecondati in sezione”.

Mino Izzo si è formato nella Democrazia Cristiana, prima di approdare a Forza Italia. La sua formazione culturale originaria si è svolta negli ambienti dell’Azione Cattolica. E’ ancora consigliere provinciale mentre sta per spirare il suo mandato senatoriale. Anche nella formazione berlusconiana ha sempre cercato di conservare il bagaglio di cultura politica del moderatismo democristiano.

Ancor più emblematica la figura di Mario Pepe, emerso da quel formidabile cenacolo di formazione umana e culturale che fu l’Azione Cattolica. Dirigente diocesano della Gioventù di Azione Cattolica, subì una sospensione di sei mesi dalle cariche rivestite, per aver fatto la tesi di laurea sull’opera del gesuita francese Theilard de Chardin. Entrato nella DC con De Mita, è stato sindaco del suo paese, prima di diventare consigliere regionale e, poi, deputato. Nel PD, sotto la cui egida è tornato alla Camera dei Deputati, ha rappresentata la componente cattolico-democratica, venendo alla fine emarginato dalle cosiddette parlamentarie.

Con l’uscita di scena di Mario Pepe, non c’è più nessun politico sulla scena che possa dirsi erede di quella scuola di formazione che fu l’Azione Cattolica.

Né Nunzia De Girolamo e né Umberto del Basso De Caro (gli unici, ripeto, che diventeranno deputati) hanno qualcosa da spartire con quella esperienza.

I cattolici beneventani, visti nella gerarchia e nei movimenti associativi, si sono affrancati totalmente dall’onere di testimoniare una loro condizione politica attiva. L’eredità di valori non negoziabili viene “ritirata” dal mercato della politica. Si compie plasticamente una fine della storia. Il comunismo sconfitto dalla storia si porta nell’abisso anche il più fiero avversario, stordito e incapace di rinnovarsi per poter interpretare quel ruolo di rappresentanza degli interessi laici di una maggioranza popolare ispirata dai valori del cristianesimo.

A 50 anni dal suo inizio il Concilio Vaticano II resta per i cattolici italiani un capitolo sconosciuto della loro storia. Squagliatasi la pece del potere, si raccoglie il frutto sterile della irrilevanza.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it 

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