La Regione ha 40 anni Società

La sera del 29 marzo prossimo sapremo chi avrà vinto le elezioni per il rinnovo dei consigli regionali. Quaranta anni fa, il 27 marzo 1970, Mariano Rumor riusciva a ricostituire un fragile governo, dopo le dimissioni del 7 febbraio. Il 6 agosto successivo, diventava presidente del Consiglio Emilio Colombo.

Andavano così le cose, un governo durava pochi mesi ed erano di più i mesi spesi nelle rattative che quelli impiegati per effettivamente governare.

La bomba della Banca dell'Agricoltura era scoppiata a dicembre del 1969. La strategia della tensione sarebbe durata ben oltre il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro del 1978, eppure una speranza trovava cittadinanza nelle passioni politiche.

La Costituzione repubblicana del 1948 aveva costruito lo Stato Regionale. Scelba fece una legge nel 1953 per disegnare il funzionamento delle istituzioni regionali, ma ben presto molti dei regionalisti della prima ora erano diventati diffidenti e gli antiregionalisti della Costituente si erano convertiti al regionalismo. Paradossalmente sia il timore che gli entusiasmi avevano una unica ragione: le regioni rosse del Centro Italia. Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, saldamente in mano ai socialcomunisti, potevano spezzare in due l'Italia.

Dal 1963 con le caute aperture a sinistra e, poi, con le svolte, la Democrazia Cristiana imbarcò i socialisti del PSI (quelli del PSDI erano alleati storici dal 1947), ma Pietro Nenni non rinunciava all'alleanza con il Partito Comunista nelle tre regioni.

Ecco spiegato il clima di apprensione che le elezioni del 1970 non dissiparono. Si votò comunque, il 7 di giugno, per eleggere i consigli regionali, con un sistema molto simile a quello vigente per la elezione dei consigli provinciali. Tanti collegi elettorali quant'erano le province per eleggere il consiglio regionale, che, poi, nel suo seno, eleggeva il presidente della Giunta e gli assessori.

In Campania c'era stato sul finire degli anni '60 un formidabile lavoro di ricerca sulle prospettive di sviluppo della regione. Il Comitato Regionale per la Programmazione Economica stese documenti ancor oggi pregevoli (che i candidati di tutte le liste farebbero bene a leggere), ma i funzionari pubblici e i professori universitari che ne facevano parte non si limitarono a dare alle stampe i loro lavori. Organizzarono convegni, si incontrarono con gli amministratori locali e con le associazioni culturali, specialmente dei giovani.

La nascita delle Regioni appariva come l'occasione storica per un decisivo affrancamento dal centralismo statale a cui si facevano risalire le colpe del mancato decollo del Mezzogiorno e, soprattutto, dell'impossibile protagonismo delle classi dirigenti.

Sapete tutti com'è andata. Le Regioni hanno copiato il peggio dell'impianto statalistico ottocentesco, l'autonomia regionale è presto consistita in una replica del vetusto (e vituperato) modello romano. Con una differenza: che in sede locale le crisi furono molto meno frequenti. Ciò che consentì qualche timido pluralismo aggregativo, ma impiantò la mala pianta del clientelismo partitico.

Il resto lo hanno fatto le riforme presidenzialiste degli anni '90, sicché oggi un po' da tutte le parti, ma specificamente in Campania, non v'è candidato presidente che non propugni l'abbattimento del perfettissimo sistema clientelare ideato e messo in piedi da Bassolino, capace di appaltare ai partiti e ai governi non solo le ASL e i primari ospedalieri, ma anche le mostre d'arte e i cantanti che devono allietare le feste di fine anno.

I 40 anni di esperienza regionale non recano con sé bilanci esaltanti sul versante della prassi partecipativa. Neanche si può dire tutto il bene che si vorrebbe per quanto riguardo la realizzazione di quelle che una volta si chiamavamo infrastrutture primarie. E sì che lo Stato non si è dimenticato di noi con le azioni della Cassa per il Mezzogiorno e, soprattutto, con le ingenti disponibilità della ricostruzione dopo il terremoto del 23 novembre 1980.

Siamo costretti, dunque, a sperare che le elezioni del 28 e 29 marzo 2010 possano segnare l'occasione di una svolta, di uno scatto, di una presa di coscienza. Il Consiglio regionale e il presidente che eleggeremo tra quattro domeniche dovranno traghettare la Regione Campania dalla lista delle aree depresse dell'Unione Europea (quelle beneficiare degli aiuti straordinari dell'obiettivo 1) al novero delle aree regionali degne di stare alla pari con le aree più ricche ed evolute. I soldi ci sono tutti, perché poco è stato impegnato di quanto è previsto per il quinquennio 2007/2013. Il fatto è che neanche un euro potrà essere sperperato per rifare marciapiedi, erigere fontane senz'acqua, appiccicare targhe di cattivo gusto davanti a scuole e opifici il cui destino pare essere quello della chiusura.

E siamo costretti a sperare che, con la velocità che le nuove tecnologie informatiche consentono, i pensatoi sicuramente messi in piedi dai vari candidati mettano in giro idee e progetti con i quali il lettore possa confrontarsi per dare, con qualche briciolo di informata conscientia, un voto non a caso.

Le illusioni del 1970 appartengono ormai al lungo catalogo delle occasioni perdute. Che qualcuno provi, almeno, ad affrancarci da quel senso di vergogna che ci prende quando dobbiamo confrontarci con ciò è stato fatto in altri pezzi di quella Europa che, a 150 anni dalla unità d'Italia, costituisce la zattera di salvataggio di una nuova comune Nazione.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it