Ultima carta    Società

Il Governo tecnico sta chiudendo la “pratica” del dimezzamento del numero delle province e i politici beneventani, in gruppo e isolatamente, stanno a guardare.

Da quando si è cominciato a parlare di soppressione delle province e/o di riduzione del loro numero, la questione è stata oggetto di discussione solo da parte di benemeriti (quanto isolati,per essere indipendenti) circoli culturali. Si possono forse contare sulle dita di una mano quei temerari che hanno osato rinfrescare la memoria di “color che possono”. Tra questi ininfluenti , e però testardi, mi ci metto anch'io, ben felice di far compagnia a Gigi Ruscello e a Nicola Del Basso.

Quando un indirizzo governativo è sostanzialmente avallato dalla Unione delle Province Italiane (vale a dire il “sindacato” che dovrebbe stare lì a difesa dei propri interessi), il tentativo di opporvisi frontalmente non ha alcuna prospettiva di successo. Tale è, per quanto ci riguarda, la scelta fatta dal presidente della Provincia di Benevento, il professore Aniello Cimitile. Il quale, anche sul finire di giugno, si è mosso, è andato a Roma ed ha rilasciato dichiarazioni rimanendo fermo sul “principio dei buoni diritti” della sua creatura alla esistenza. Cimitile ha fatto riferimento alla dignità storica della nostra provincia, alla circostanza (poco più che folkloristica) della sua nascita nell'anno di grazia 1860, prima ancora della proclamazione del Regno d'Italia il 17 marzo 1861.

Con argomenti storici non si va da nessuna parte. Più fondata sarebbe, a rigor di logica, una richiesta di tornare con lo Stato Pontificio, con il quale convivemmo per ben otto secoli. O di riesumare il Ducato di Benevento, di cui anche Gioacchino Murat si ricordò quando si insediò a Napoli e strappò Benevento al Papa non osando, però, aggregarlo come un territorio qualunque al Regno delle Due Sicilie. La storia non aiuta le rivendicazioni. Tutt'altro. La storia ci insegna ad accettare l'ineluttabilità degli avvenimenti.

Non c'è tempo, neanche, per richiedere al governo di rivedere il teorema dei tre criteri sui quali si fonda la sforbiciata in preparazione: almeno 3000 chilometri quadrati, almeno 350mila abitanti, almeno 50 comuni. Modificando i criteri per far felice Benevento, si altererebbe l'obiettivo finale che il governo è impegnato a perseguire.

Sulla nostra ipotesi di studio di un Molisannio, costruito “a posticcio” sui numeri risicati a stento sufficienti (con prospettive, però, di contributi che sarebbero potuti venire dall'Alifano, da parte della Daunia nonché dalla Valle Caudina irpina,) non è stata intavolata nessuna trattativa con Campobasso. E ci meraviglia che neanche i molisani abbiano colto l'occasione irripetibile di una mossa che avrebbe salvato la Regione Molise, destinata alla automatica soppressione allorché spariranno le “almeno due province” necessarie per la sua sopravvivenza.

Secondo i criteri elaborati dal governo, la provincia di Benevento cesserà di esistere e i suoi 78 comuni resteranno in Campania.

Pur avendo riscontrato un totale disinteresse all'appello lanciato nel numero 10 di quest'anno di Realtà Sannita, osiamo pensare che uno scatto di orgoglio sia nelle possibilità dei nostri politici. In maniera unanime, con l'appoggio della Regione e con quello delle province (lo stesso avellinese Cosimo Sibilia potrebbe riscattarsi dalla infelice annessione “verbale” già proclamata), è ancora possibile giocare un'ultima carta per salvare la Provincia di Benevento.

Ed è, appunto, una carta egionale, che chiama in causa le prerogative del territorio, così come proclamate dal riformato titolo V della Costituzione.

Fermo restando il numero delle Province da lasciare in vita, noi proponiamo un metodo di calcolo basato non sulla consistenza delle singole istituzioni-provincia da sopprimere, ma sulla consistenza di un bacino socio-economico più vasto, quello regionale appunto.

Se la Campania, in virtù dei suoi 5 milioni e 800mila abitanti, rivendica il diritto di conservare le attuali cinque province, non chiede alcun favore e non brandisce consunti blasoni. Resta all'interno degli obiettivi finali che il governo si è dato, quelli cioè di un dimezzamento del numero totale delle province. Si applichi il dato statistico esibito dalla Regione Campania alle altre Regioni e, allora, saranno altri e doversi leccare le ferite.

Ed è questa l'unica carta che si possa onorevolmente giocare oggi. La Campania conserva una provincia ogni 1.168.000 abitanti. Si tratta di una carta che va giocata subito e con forza, perché ha dalla sua l'inoppugnabilità delle cifre (tanto care al governo tecnico). Non è un espediente o un rucco, forse anzi è la rivendicazione di una condotta virtuosa tenuta in Campania a fronte di allegro spontaneismo segnalabile a Nord al Sud e nelle Isole.

Non c'è tempo da perdere. Una unione attorno a questa semplice, trasparente e inattaccabile ipotesi potrebbe essere una occasione di riscatto e di rilancio per personalità politiche blasonate o in allestimento presso qualche prestigioso atelier.
Tra una diecina di mesi ci saranno le elezioni politiche. Il salvataggio della Provincia potrebbe essere anche il salvataggio di Costantino Boffa, Nunzia De Girolamo, Mino Izzo, Pasquale Viespoli (in rigoroso ordine alfabetico), per tacere di Formichella, Mastella e Malgieri (sempre in ordine alfabetico). La Provincia soppressa sarà, invece, la sicura carta vincente dei Masanielli di turno.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it