Un cervinarese a capo del buddismo mondiale Società

La vita del Lokanatha l’ho scoperta per caso, mentre ricercavo notizie di altri famosi personaggi cervinaresi. I dati che ho trovato, comunque, meritano qualche correzione. La prima riguarda il luogo di nascita, che sarebbe avvenuta “nei pressi di Napoli”, come genericamente indicato nelle biografie riportate in vari scritti.

Salvatore Cioffi, invece, è nato a Cervinara il 26 dicembre 1897, come dal registro degli atti di nascita del Comune. Era l’ultimo dei sei figli dei coniugi Lorenzo e Lucia Ruotolo, che nei primi anni del secolo scorso si trasferirono negli Stati Uniti, fermandosi a New York, con la speranza di trovare colà migliori condizioni di vita.

Del giovane Salvatore mancano notizie precise, almeno fino al 1922 quando alla New York University conseguì la laurea in chimica e cominciò a lavorare al Cooper Institute, dedicandosi alle ricerche in biologia presso la biblioteca della Rockefeller University.

Qui scoprì il Dhammapada, che è uno dei 45 libri del pensiero di Buddha e che per ogni buddista rappresenta l’equivalente della bibbia per i cristiani. Non si contentò, però, della lettura del libro, che finì solo per accendere in lui la curiosità di conoscere dall’interno il mondo buddista.

Nella famiglia di Salvatore, d’altra parte, spiccava una accentuata tendenza alla ricerca, della quale già aveva dato prova il cugino Onorio Ruotolo, scultore di chiara fama negli Usa, e il fratello Paul, scienziato “del magnetismo legato alla progettazione dei Magnetron utilizzati oggi nel sistema radar”, già riportato sul nostro giornale nell’edizione Gennaio 2007 a pag. 3.

Salvatore così, seguendo la sua vocazione, nel 1925 decise di imbarcarsi sul Mauritania “ con l’abito che aveva indosso e un biglietto di terza classe per Ceylon”. Invano la famiglia, che era profondamente cattolica, e in particolare il fratello gesuita, tentarono di impedirne la partenza. Da Ceylon, come scrive Enzo Biagi in un articolo pubblicato sulla rivista Oggi n. 39 del 22 settembre 1949, Salvatore si trasferì a Rangoon in Birmania, dove fu ordinato monaco “mendicante e itinerante” con il nome di Lokanatha.

“La vita nuova” – prosegue Biagi – “ calzava a pennello a Lokanatha, il quale andava intorno con la sua ciotola, mendicando il cibo quotidiano, dormiva sotto gli alberi… e mai si affannava a correre”. Poi, per motivi di salute, nel 1926 decise di rientrare in Italia, per curarsi, portare il messaggio di Buddha e incontrare il Papa Pio IX. L’incontro ovviamente non avvenne. Cominciò, però, la sua predicazione del buddismo a Firenze, dove fu arrestato per vagabondaggio e tradotto “a Cervinara, dove lo zio Vincenzo Cioffi si offrì di ospitarlo, a patto che deponesse la ciotola e vestisse “da cristiano”, smettendo l’abito giallo di buddista.

Lokatanha, però, non se ne diede per inteso e cominciò l’operazione di “resistenza passiva, digiunando cinque giorni filati”. Il digiuno spaventò lo zio, che al sesto giorno esplose contro il nipote, gridando: “Proprio a casa mia vuoi morire, omm’ ’e niente”. Il venerabile, però, non si scompose e dettò le sue condizioni per mettere fine allo sciopero della fame: “Se non mi fai ottenere il passaporto, giuro che rinasco (muoio)”. Allo zio Vincenzo allora non rimase altro che fargli riavere il passaporto e farlo partire per l’India.

A piedi, dopo diecimila chilometri, arrivò finalmente a Rangoon, dove si fece eremita, ritirandosi a meditare sull’Himalaia. Quando se ne discese, cominciò a peregrinare tra la Birmania, lo Sri Lanka, l’India e la Thailandia, divenendo un’autorità nello Shanga, l’ordine monastico buddista, nel quale assunse il ruolo di guida di monaci birmani, thailandesi e singalesi in pellegrinaggio verso i luoghi sacri dell’India.

Dopo lo scoppio della guerra, si trovò internato dagli inglesi in un campo di concentramento, dove però continuò a praticare il Buddhadhamma. Finita la guerra, nel 1945 ritornò in Birmania , dove nel 1946 fondò “ L’opera buddista all’estero” e nel 1947 pubblicò il libro “Avvolgendo il mondo con la verità”. Nel 1948 rientrò negli Stati Uniti e di là intraprese un lungo viaggio missionario organizzato per “raccogliere un tesoro per finanziare la sua opera di illuminazione e di pace”.

Poi partì per l’Europa, visitando Londra, Parigi, Genova, Torino e Roma. Alla fine del lungo viaggio rientrò in Birmania, dove nel 1951 divenne Capo del Buddismo mondiale, con giurisdizione su duemila tra pagode e conventi e su ottantamila monaci birmani . In quegli anni cominciarono ad arrivare offerte per la sua opera da ogni continente e con il denaro raccolto il Venerabile Lokatanha organizzò il Quarto Sinodo buddhista mondiale e spese quattro milioni di dollari per far stampare i cinquanta volumi sacri per distribuirli in ogni angolo del mondo.

Costituì un tesoro di pietre preziose e di oro, che è conservato in una cappella segreta dello Shanga. Morì il 25 maggio 1966, lasciando a ricordo del suo passaggio la grande Pagoda Kaba Aye. Le sue ceneri sono conservate nella pagoda di Maymyo, ridente località climatica, a mille metri di altitudine.

A Torino c’è un tempio buddista, eretto in suo omaggio, nel quale nell’anno 2006 è stato celebrato il quarantesimo anniversario della morte, a riprova che il ricordo del grande Venerabile è ancora molto vivo nel capoluogo piemontese. Alla sua morte i parenti italiani intentarono un giudizio contro il Governo della Birmania per vedersi riconosciuto il diritto all’eredità sulla quota del tesoro di Salvatore. Il Tribunale, però, non riconobbe l’invocato diritto ereditario, sentenziando che il tesoro appartiene allo Shanga, all’ordine monastico, e non al Lokatanha.

ANGELO MARCHESE



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