I 1700 anni dal Concilio di Nicea (325-2035) e il nostro credo cattolico Chiesa Cattolica

“La comunione della fede richiede un linguaggio comune della fede” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 185).

La chiesa apostolica fin dalle sue origini ha trasmesso la propria fede attraverso formule brevi e normative per tutti. Tali professioni di fede vengono chiamati “Credo” o “Simboli della fede”. Un “segno” di riconoscimento e di comunione tra i credenti.

Il “Simbolo della fede” raccoglie le principali verità della fede, primo e fondamentale riferimento della catechesi. “Il simbolo è diviso in tre parti: la prima è consacrata allo studio del Padre e all’opera mirabile della creazione; la seconda allo studio di Gesù Cristo e del Mistero della Redenzione; la terza allo studio dello Spirito Santo, principio e sorgente della nostra santificazione” (Catechismo Romano, 1).

Quest’anno giubilare della Speranza 2025 segna un anniversario significativo: i 1700 anni del Concilio di Nicea, che ha dato origine al simbolo Niceno, un testo fondamentale per la dottrina cristiana, pietra miliare nella storia della Chiesa Cattolica, di primaria importanza per la fede e la vita spirituale dei credenti.

Il Concilio di Nicea, in Asia Minore, convocato dall’imperatore Costantino nel maggio del 325 fu il primo concilio ecumenico della Chiesa. Vi parteciparono circa 250 vescovi, provenienti quasi tutti dalle Chiese d’Oriente. La sua principale finalità: affrontare le controversie teologiche sorte con l’arianesimo, una dottrina che negava la piena divinità di Gesù Cristo. Ario era presbitero di Alessandria, appartenente alla scuola teologica antiochena. L’eresia fu vista come un tentativo di ellenizzazione del cristianesimo e minava alle radici la fede monoteistico - trinitaria incentrata sulla identità divino - filiale di Gesù di Nazareth. Condizionato da un rigido monoteismo di stampo medio - platonico, Ario, faceva di Gesù Cristo una sorta di semi - dio o di super - uomo: inferiore a Dio in quanto era stato generato da lui nel tempo, era però la prima delle creature essendone il mediatore. Formulando una dichiarazione che assume il taglio e il valore di una confessione di fede, i padri conciliari indicano quale deve essere la vera interpretazione della fede consegnata nelle Sacre Scritture e, nel caso specifico, di quanto il Nuovo Testamento insegna sul rapporto tra Gesù e il Padre. 

Ed ecco i punti nodali del simbolo: Gesù Cristo è il Figlio “unigenito” pre-esistente del Padre; nessun altro è come lui in rapporto a Dio perché lui solo, non essendo creato bensì “generato” dal Padre è “omooúsios” cioè “consostanziale” a lui. 

Asserire l’identità di sostanza tra Gesù e il Padre significa riconoscere che egli è Dio come il Padre. Quanto al livello dell’essere, non è per nulla inferiore a lui: è “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”. Possiede, dunque tutte le caratteristiche della divinità, a cominciare da quelle della eternità e della immutabilità. Esiste “da sempre” insieme al Padre ed è in tutto uguale a Lui, eccetto la differenza personale determinata dalla relazione di generazione.

Il rapporto tra Gesù e il Padre viene quindi definitivamente sottratto a qualsiasi interpretazione tendente al subordinazionismo. Se Gesù non fosse il Figlio uguale al Padre nella divinità, unito da sempre e per sempre a lui nella pienezza dell’amore, non sarebbe capace né di farlo conoscere né di farlo “vedere” per quello che veramente è, né di condurre gli uomini a lui, donando loro la grazia di diventare suoi figli adottivi.

Il Concilio di Nicea condannò l’arianesimo come eresia. Ario fu esiliato e morì improvvisamente poco prima della riabilitazione che gli era stata accordata. Anche Atanasio, oppositore tenace di Ario, fu mandato in esilio, non avendo accettato compromessi. La controversia divise la Chiesa in partiti. La sua conclusione teologica ebbe fine con il Concilio di Costantinopoli nel 381. Di qui il simbolo Niceno - Costantinopolitano che tutti conosciamo e professiamo ogni domenica e nelle feste di precetto. Nella Messa il simbolo diventa professione comunitaria di fede.

In questo Giubileo, siamo tutti chiamati a fare del Credo niceno una fonte tra passato, presente e futuro, riconoscendone il valore fondamentale della fede cattolica e come luce per affrontare le sfide del mondo contemporaneo. Mai come oggi l’ordine etico sociale ha bisogno di essere illuminato dall'annuncio di Cristo. L’annuncio del Vangelo aiuta a comprendere il patrimonio storico - culturale del nostro mondo. I principi del Vangelo sono parte costitutiva di tale patrimonio: storia, cultura e civiltà, lungo i secoli, sono impregnati di cristianesimo e intimamente intrecciati al cammino della Chiesa.

Ne danno testimonianza non solo le innumerevoli opere d’arte ma anche le tradizioni, usi e abitudini che caratterizzano il pensare e l'agire dei diversi popoli. Il mondo d’oggi, mentre facilita la comunicazione, dubita della capacità della persona di conoscere la verità, o addirittura nega la possibilità dell’esistenza di un’unica verità e tuttavia manifesta un bisogno di assoluto e una sete insaziabile di verità e di certezza.

L’annuncio del Vangelo viene incontro a tali esigenze ed è in grado di dar loro piena soddisfazione. Solo in questo modo si attualizza un triplice amore: alla Parola di Dio, alla Chiesa e al Mondo. Anche Papa Leone XIV si recherà, probabilmente il prossimo 30 novembre, in Turchia per l’anniversario di Nicea, al fine di sottolineare l’importanza storica dell’evento dottrinale ed ecclesiale

MONS. PASQUALE MARIA MAINOLFI