Il Natale a Foglianise tra fede e prelibatezze culinarie Chiesa Cattolica

Le memorie di Nicola vengono curate dal fratello Padre Luigi Vito Tommaselli (1929-2012), Ministro Provinciale OFM (Ordine Frati Minori), dal 1983 al 1989. Fr. Luigi celebrava il 75° della fondazione della Provincia Sannio-Irpina, nonché la Peregrinatio della Madonna delle Grazie nelle foranie dell’Arcidiocesi beneventana. Il Ministro Provinciale, originario di Foglianise, riapriva al culto la Basilica della Regina del Sannio dopo il terremoto del 1980.

Alla novena si partecipava presto, per permettere di svolgere le consuete attività lavorative. Sfidando le avverse condizioni climatiche tuttavia i fedeli si recavano nella chiesa del SS. Corpo di Cristo, per invocare l’arrivo del Salvatore del Mondo. L’aspetto religioso nella società a struttura semplice era nettamente predominante. Il giorno della Vigilia di Natale, intorno alle 15.00 del pomeriggio si interrompeva il lavoro, al fine di ritrovarsi intorno al camino, per prepararsi all’attesa cena. Le donne solitamente preparavano accuratamente le ricette della Tradizione, autentiche prelibatezze, che non si gustavano nella quotidianità.

La “spugnata” era l’antipasto, un piatto contenente il baccalà, i broccoli di cavoli, cavolfiore ed uva passa, mentre il primo era comunemente di pasta, spaghetti o vermicelli al sugo di anguille.

Nel menù natalizio non mancavano per secondo le anguille al sugo o arrostiste, baccalà fritto o in bianco con cavolfiore lessato, i peperoni imbottiti. Sulla tavola, arricchita non solo dal cibo, ma dalla presenza dei familiari, riuniti per condividere i legami del cuore tra parenti, erano disposti fichi secchi, noci, castagne, mandarini, arance, finocchi, infine, per terminare un pezzo di torrone con le mandorle.

Conclusa la cena si recitava il rosario, per invocare mediante i grani della corona la Dolce Presenza, il Bambino, nato poveramente nella grotta di Betlemme, un ricovero di fortuna, per Maria e Giuseppe. Ad ogni mistero si s’intercalava una strofa, che veniva cantata anche in chiesa durante la novena: ”O dolce vita mia, bel Figlio di Maria, tu sol, mio caro Iddio, sei tutto il mio tesoro. Vorrei per te, Signore, morire ognor d’amore, per te, Bambino mio, che mi hai rubato il cuore. Viva, viva Gesù, viva Maria, evviva San Giuseppe in compagnia. Si concludevano le preghiere con i canti “Tu scendi dalle stelle”, “Qnannu nascette Ninnu a Betlemme”, composte da San Alfonso Maria de’Liquori (1626-1787), vescovo di Sant’Agata de’Goti (1762-1775). La giornata si concludeva, posando il capo su cuscino nella pace e nella gioia del Signore.

La mattina di Natale si partecipava alla Messa, si scambiavano gli auguri, tendendo la mano agli amici ed ai parenti, nella semplicità. Nel pranzo di Natale, invece, il cappone, era cucinato in diversi modi. in particolare imbottito. In serata ci si recava nuovamente in chiesa, per la benedizione eucaristica, era d’obbligo sostare davanti al presepio, allestito con passione, nei minimi dettagli, realizzato dal cugino Pasquale Pedicini fu Michele.

Ma il pranzo della Viglia e quello del Natale non era uguale per tutti i nuclei familiari del paese. Il menù tipico della festività subiva delle variazioni a seconda delle condizioni economiche, chi non poteva permettersi di comprare le anguille, per il primo piatto mangiava spaghetti con alici.

Alcune famiglie il cavolfiore lo mettevano nel sugo, una variante nella ricetta e lo servivano ai commensali come seconda pietanza.

I “pizzilli”, preparati con la farina impastata con l’acqua ed immersi nell’olio, fritti nel camino, venivano gustati la sera della Vigilia, quelli rimanenti si riportavano sulla mensa domestica pure il giorno seguente.

Il parroco Gioacchino Pedicini (1883-1980), scriveva nel Cronichon per la festività del Natale del 1927: ”Fu preceduta dal novenario fatto di buon mattino, malgrado il freddo intenso e la neve caduta la domenica precedente e poi le abbondanti piogge, cadute dopo quasi un anno di persistente siccità.

La mattina di Natale dopo cantato un sol notturno dell’ufficio dai confratelli di S.Anna, fu portato il Bambino al presepe e poi vi fu il discorso, seguito da una sola messa; che fu cantata. Lo scrivente disse la seconda messa a S. Maria e dopo la messa portó la statua di S. Lucia alla cappella di Barassano.

NICOLA MASTROCINQUE

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