La Madonna delle Grazie un antico amore Chiesa Cattolica

Benevento è terra di streghe.

La leggenda delle streghe si diffuse nel capoluogo sannita durante il regno del Duca longobardo Romualdo negli anni 680-683, quando l’imperatore bizantino Costante teneva in assedio la città. La saga, antica per tradizione, fu recepita dal popolo che suggestionato credeva nel suo potere magico. Romualdo, preoccupato della situazione che peggiorava drammaticamente in città, si consultò con il prete Barbato e questi, di carattere risoluto, dialogò con Costante che desistette dal suo progetto di conquista, ma pretese che Romualdo e il suo popolo si convertissero al cristianesimo. I longobardi si convertirono. Barbato fu acclamato vescovo di Benevento. Il nuovo Pastore sconfessò ogni forma di superstizione specie quella degli alberi ai quali i longobardi appendevano pelli di animali sacrificati, abbattendo l’albero sacrilego prescelto come simbolo del culto idolatrico: il noce.

Dalla narrazione favolosa delle streghe derivò anche la leggenda della vipera, culto che in realtà risale all’anno 88 d. C., quando l’imperatore Domiziano edificò in città un meraviglioso tempio in onore della dea Iside, “Signora di Benevento”. Simmaco, prefetto di Roma, dopo essere stato a Benevento, comunicava al padre, nel 384, che “gran parte della popolazione di questa città praticava l’idolatria”.

La leggenda delle adunanze orgiastiche delle streghe sotto il noce si ripresentò nel XV secolo, con l’invasione spagnola del Regno di Napoli. Il sabato fu il giorno stabilito per le adunanze, al grido: “Sopra l’acqua e sotto il vento alla noce di Benevento”, come recita Pietro Aretino ne “La cortigiana”: il famoso unguento ricavato dalla “carne degli infanti” composto anche dal latte di asina e carne grassa di lupa, che spalmato a dovere in ogni parte del corpo consentiva il volo a cavallo di poderose scope. Il popolo credeva nelle streghe e le temeva per il rapporto che avevano con le forze infernali.

Nella dura terra del Sannio le forze del Bene e del Male si sono sempre scontrate in un millenario confronto. Quando la favola si sparse nel mondo, Benevento divenne la capitale dell’industria della magia e della fattura. Unguenti e pozioni ottenuti da capelli, peli, radici di alberi velenosi, penne di gufo e di civetta, sangue di rospo e veleno di serpente erano un segreto gelosamente e diabolicamente custodito dalle streghe beneventane. Qui venivano prodotti infusi capaci di ispirare odio o amore, in grado di trasformare gli uomini nemici in lupi mannari o maiali. Benevento diventò così università della stregoneria.

Il frutto delle sabbiche riunioni perdura oggi nel tradizionale e squisito infuso del “nocino” (nella notte del 24 giugno, comuni casalinghe macerando il mallo di noce dentro succhi aromatici, producono un gradevole amaro) e nel notissimo e profumato “liquore strega” di cui si dice che “il primo sorso affascina e il secondo strega”.

Benevento è terra di santi. Se ne contano tantissimi tra Martiri, Monaci, Pastori e Laici, in diciotto secoli: Gennaro, Festo e Desiderio, Menna, Giovanni da Tufara, Barbato, Benedetto martire in Polonia, Pompilio Pirrotti, Giuseppe Moscati, Pio da Pietrelcina, Teresa Manganiello e tanti altri. La religiosità ufficiale ha saputo nel tempo sconfiggere le fantasie partorite dalla paura e dall’ignoranza, ma in verità Benevento ha vissuto sempre in bilico tra religiosità, misticismo e superstizione, segnata nel suo DNA dall’orgoglio sannita, dalle ancestrali fobie longobarde e dall’afflato fiducioso nella Provvidenza regalato da nove secoli di collegamento privilegiato con il papato.

All’inizio del terzo millennio pare che Benevento sia destinata a rimanere patria delle streghe e della stregoneria. Continuano ad imperversare guaritori a chiacchiere, operatori moderni dotati di poteri paranormali e, la fioritura, continua a far sbocciare cartomanti, chiromanti, veggenti e maghi che ora non scelgono l’albero per manifestare i loro presunti poteri, ma ricevono in attrezzati studi con tanto di riconosciuta licenza dopo una squallida propaganda nelle TV locali, nella linea di un fastidiosissimo bombardamento psicologico. Certamente il fenomeno non è solo beneventano.

Qualche cifra aiuta a comprendere il preoccupante fenomeno: in Italia il mercato dell’occultismo frutta ogni anno almeno diecimila miliardi; distribuiti fra più di ventimila operatori dell’esoterismo e, quasi tutti evasori. Il 40% degli italiani crede nell’influenza degli astri e legge ogni giorno l’oroscopo.

La stregoneria ritorna di moda pur assumendo aspetti diversi, forme più civili e apparentemente innocue, intessendo così una rete sinistra di magico e superstizioso.

Come al solito l’ultimo ritrovato giunge dal fantomatico progresso americano e travolge senza troppe resistenze la stessa penisola italica. Mi riferisco alla “notte più magica dell’anno”, la “notte di Halloween”, una festa delle origini antichissime, risalenti addirittura ad antiche tradizioni celtiche e romane, che ha trasformato la cristiana vigilia della festa di tutti i santi del 31 ottobre nella sagra delle maschere dello spavento, della paura, dell’orrore e della morte. Sciaguratamente anche nelle scuole italiane, agenzie privilegiate dei processi educativi, si ripetono le feste dedicate ad Halloween (la notte delle streghe). Allora si vedono teschi, maschere sfregiate dal sangue finto, lenzuola trasformate in abito da fantasma, il tutto condito da balli e dolcetti per allentare la tensione e la paura. Si pensa così di esorcizzare la più grande paura, quella della morte che, manco a farlo apposta, sta travolgendo l’America, una paura iniziata in quel drammatico 11 settembre con l’abbattimento delle Twin Towers, accresciuta poi dal black out elettrico e dai devastanti incendi. Chissà se portare una zucca illuminata possa simbolicamente evocare il passaggio dalla vita terrena a quella eterna, illuminata dalla luce dello spirito, o più realisticamente rappresentare l’agghiacciante vuoto spirituale che ora attraversa la testa di tanta gente!

L’ignoranza diventa così via del male. Eppure “Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi, senza lasciarci imporre di nuovo il gioco della schiavitù” (Galati 5,19). L’impegno della “nuova evangelizzazione” deve allora condurre a purificare la fede inquinata, corrotta o impaurita dalla magia e dalla superstizione. Anche il popolo di Dio avverte l’urgente bisogno di purificare la sequela di Cristo con la luce della ragione ed il falò della fede.

Un’ultima riflessione e chiarificazione sulla mariolatria cristiana nel culto di Iside.

L’illustre egittologo tedesco H.W. Muller, in “Iris mit dem Horuskinde”, ipotizza che l’immagine della Madonna che allatta il bambino ha profonde radici nella fede popolare e nel culto ufficiale dell’età faraonica. Questo culto, attraverso il processo di ellenizzazione ha raggiunto una forza così universale, che la religione cristiana si è vista costretta ad assumerla nel proprio linguaggio.

In una successiva monografia sul culto di Iside nell’antica Benevento, pubblicata a Berlino nel 1969, lo stesso autore ipotizza una puntuale correlazione tra culto isiaco e culto mariano in Benevento, nonché la ubicazione di un Iseo nell’area occupata dalla Cattedrale, già denominata chiesa di Santa Maria. La tesi milleriana non ha smesso di esercitare il suo fascino su alcuni intellettuali beneventani che definiscono Iside “madonna e strega di Benevento”.

Occorre ricordare subito l’assoluta originalità del culto mariano derivante dall’altissima considerazione di Lei, offertaci dalla Bibbia e dalla Tradizione apostolica. Nessuna mutazione, dunque, dal culto pagano delle dee.

Un abisso invalicabile separa il culto della Madre di Dio da quello ad Astarte, Iside o Cibele, per natura e per effetti.

Il culto della Vergine Maria è di iperdulia (venerazione speciale), quello delle dee invece era di latria (vera e propria adorazione con annessi riti a sfondo sessuale).

Nelle feste in onore di Iside si ripetevano simboli di squallida oscenità (basta leggere Plutarco).

È vero che in alcuni luoghi deputati al culto pagano delle dee, il culto cristiano-mariano ha sostituito quello precedente con opportune purificazioni.

Ma si tratta di semplice successione cronologica e locale, e giammai di derivazione.

L’analogia è tutt'altra cosa dalla genealogia.

La più antica rappresentazione di Maria “Galaktotrophousa” (cioè allattante) risale al VI secolo, rinvenuta proprio in Egitto, a Saqqara, ma l’immagine della donna che allatta era già diffusa nel mondo egizio tardoantico e non si identificava assolutamente con la madre di Osiride.

A Benevento, l’immagine più antica della Vergine Maria che allatta Gesù si trova nell’affresco del 1300 della Chiesa di San Francesco a Piazza Dogana, ed è anche l’unica.

Nel tardo Medioevo le immagini della Madonna che allatta Gesù sono diffuse in tutto il mondo cristiano e non solo nella Benevento della “Isis lactans”.

L’immagine della Madonna che allatta Gesù, più che ricordare la doppia natura divina e umana del Cristo, come risposta dei primi secoli allo gnosticismo e al docetismo, evoca l’ideale di Madre dolcissima e premurosa che ogni sposa cristiana è invitata a realizzare, imitando Maria.

La statua cinquecentesca della Madonna delle Grazie, attribuita a Giovanni Meriliano di Nola, tanto venerata dai beneventani, appartiene al diffusissimo modello iconografico del basso Medioevo, ove la Madonna delle Grazie mostra il suo seno al Figlio per ottenere misericordia a quanti la invocano. Indicare al Figlio di Dio la mammella per ottenere pietà per gli uomini, costituisce un elemento originalissimo della religione cristiana. È come se la Madonna dicesse al Figlio di Dio che può tutto: ricordati che sono stata io a nutrirti ed ora non mi puoi negare nulla di quanto ti domando per tutti i figli che a me si rivolgono con fiducia!

Il culto beneventano alla Madonna delle Grazie è allora espressione di autentica fede cristiana, fondata sulla Sacra Scrittura, sulla Tradizione e sul Magistero della Chiesa. Un culto di venerazione che vede in Maria Vergine: la potente soccorritrice del popolo, presso il trono dell’Altissimo.

MONS. PASQUALE MARIA MAINOLFI