Nella Villa Comunale di Benevento l'arte sconfina Cultura

Impossibile per un artista discutere con chi non riesce a capire che un’opera d’arte può ‘sconfinare nella realtà’ per stabilire un rapporto bidirezionale con l’osservatore. Il pittore spagnolo Pere Borrell del Caso, irritato da critici incapaci di decodificare le sue opere, nel 1874 dipinse un ragazzo che scavalca la cornice del quadro e… se ne va. Analoghi ‘sconfinamenti artistici’ furono, di lì a pochi anni, i primi film di treni in corsa verso il pubblico, che terrorizzato scappava via dalle sale cinematografiche. Oggi è soprattutto la scienza a produrre entità prive di concretezza fisica che intervengono nella realtà. A Roma ne offre un panorama periodico il Virtual Reality Experience, festival internazionale dedicato alle ‘tecnologie immersive’, dalla medicina che opera corpi umani sugli schermi ai videogiochi estranianti, dalle attività finanziarie sperimentali alla realtà aumentata per ricostruire in 3D il patrimonio culturale perduto. Nella ricerca dell’impensato è però quasi sempre l’arte a precedere la scienza. Lo dimostrerà ancora una volta a Roma la rassegna What a Wonderful World in programma dal prossimo maggio al MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo) con le ultime tecnologie disponibili per l’arte, mentre a Gedda in Arabia Saudita aprirà i battenti l’attesissimo TeamLab Digital Art Museum dedicato all’arte digitale. Argomenti, questi, a cui in una Benevento bloccata sul suo passato si accostano solo gli artisti.

Un caso equivoco di sconfinamento dell’arte si verificò a Benevento nel 1989, quando la Villa Comunale fu dotata di una elegante cassa armonica. Alcuni si sentirono coinvolti da elementi importanti pur ritenendoli estranei alla funzione: “Quattro sinuose ragazze lì in piedi sul bordo circolare del palco, distraggono con le movenze provocanti dei loro corpi… tu sfuggi a una e incappi nell’altra, e se caschi nella provocazione non riuscirai più a concentrarti sulla musica, magari ti metti a sognare che una di loro scenda dalla ringhiera e….”. La nuova cassa armonica - provai a chiarire - ha una sua funzione estetica, le statue classicheggianti dello scultore romagnolo Domenico Neri intendono evocare la storia antica di Benevento, non i pensieri a cui siete arrivati voi. L’idea di posizionarle con le spalle all’orchestra le sottrae al ruolo decorativo affidato ai lampioncini bianchi e agli elementi curvilinei in metallo scuro presenti fino alla cupola di vetro. La posizione ribaltata e la dimensione quasi naturale le portano in primo piano facendole ‘sconfinare nella realtà’, in una dinamica relazionale che dialoga con la cultura e la sensibilità di chi le guarda.

I sorrisetti maliziosi di quegli osservatori rendevano difficile approfondire la questione. Evitai quindi di proporre esempi come la scena settecentesca dell’incisore francese Noël Le Mire che raffigura l’antico mito di Pigmalione. L’artista scolpì in avorio una statua femminile così bella da innamorarsene follemente e chiese ad Afrodite di farla diventare creatura umana, per poterla sposare. Appena la dea acconsentì, la statua… sconfinò nella realtà: la splendida ragazza di nome Galatea scese dal piedistallo, andò verso lo scultore e lo abbracciò (nell’immagine).

Forse le statue della cassa armonica della Villa Comunale di Benevento inviano ancora ammiccamenti ambigui per qualcuno. In un modo del tutto ‘normale’ un ragazzino entrò invece in dialogo con una creazione di fantasia quando gli raccontai la millenaria leggenda del pittore cinese Wu Tzaotzu. Chiamato dall’imperatore Xuan Zong, l’artista dipinse in una sala del Palazzo Imperiale un grandioso paesaggio di montagne. Siccome il sovrano non sembrò soddisfatto e diventava sempre più minaccioso, il pittore disegnò in fretta una porticina alla base di una montagna, batté le mani, quella si spalancò e lui rapido vi si infilò richiudendola alle proprie spalle. L’imperatore, dice la leggenda, ne fu più stupefatto che infuriato. Impassibile era rimasto invece il ragazzino a cui l’avevo raccontata. “Comunque quel pittore fece una brutta fine, non ti pare?” gli dissi. E lui, ancora immerso nel racconto: “Ma dai, che ci vuole a capire che Wu Tzaotzu dipinse un’altra porticina e se ne uscì dall’altra parte della montagna?”.

ELIO GALASSO