Il Sannio può realmente andare in Europa? Politica

In prossimità delle Elezioni europee 2024, assistiamo ad una campagna elettorale che sebbene sia veicolata da tutti i possibili media, appare poco coinvolgente. Dai noti candidati nazionali e dai candidati conosciuti in ambito regionale, si ascoltano slogan, proclami di difesa della nostra identità territoriale e tante altre promesse, ma quello che emerge più chiaramente è la percezione che tali politici hanno verso queste elezioni: sono diventate niente di più che uno strumento sondaggistico. Ciò è testimoniato dai leader di partito che pur candidandosi, hanno già dichiarato che non andranno a ricoprire il seggio, lasciandolo ai candidati meno votati: è il caso di Giorgia Meloni, Elly Schlein, Antonio Tajani, Matteo Renzi il quale, nonostante abbia a più riprese dichiarato che se eletto andrà in Europa, rifiutando il suo seggio al Senato, nei fatti è stato candidato ultimo in 4 circoscrizioni, rendendo non molto probabile la sua elezione europea. Alla luce di questa bassa considerazione verso un parlamento sempre più importante, in un tempo in cui le sole sovranità nazionali non hanno l’autorità sufficiente per prendere decisioni in un mondo sempre più globalizzato, c’è da chiedersi se effettivamente l’Italia possa essere rappresentata e se con ciò le piccole-medie identità territoriali, come quella sannita, possano far sentire la propria voce.

Non occorre ricordare che, stando agli ultimi dati Istat, il tasso occupazionale nel Sannio si ferma al 52%, un dato ancora più allarmante se lo rapportiamo all’emigrazione, in grande misura giovanile, della nostra terra: nel 2022 sono stati in 2.642 a lasciare la propria terra in cerca di occupazione, tra cui circa mille giovani. Non occorre neanche ricordare che secondo il rapporto trimestrale Movimprese, le 35.272 imprese attive fino allo scorso anno sono diventate nel primo trimestre del 2024, 35.016. Inoltre, tenendo in considerazione il settore agricolo, un fiore all’occhiello della nostra terra, secondo la CGIA (Confederazione Generale Italiana dell’Artigianato), tra il 2014 e il 2022, ha perso il 14,5% delle imprese agricole, il secondo peggior risultato del Mezzogiorno dopo quello della provincia di Campobasso. Pertanto, è innegabile che il Sannio abbia bisogno di domande e soprattutto di risposte, dove la comunità collettiva deve essere concretamente ascoltata e rappresentata e in un’era in cui i processi decisionali sono sempre più sovranazionali e geograficamente più ampi, non si può permettere che le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo siano considerate semplicemente come un modo per rafforzare i propri consensi e di fare bilanci, circoscritti alla sola vita politica italiana.

I fondi europei, come ad esempio il PNRR e le misure per la PAC (Politica Agricola Comune) rappresentano una grande occasione per la riqualificazione della nostra provincia, nonché per gli attori locali, ma possiamo difficilmente immaginare un’applicazione efficace se il contesto politico italiano ha questa bassa considerazione delle elezioni europee, nonché dell’Europa stessa e di conseguenza dell’intero processo decisionale, dal quale rischiamo di essere esclusi. È assolutamente anacronistico credere che le aree interne possano riqualificarsi senza l’intervento di apparati decisionali sovranazionali, ai quali abbiamo il dovere di mandare persone capaci, con progetti concreti per i nostri territori e con soluzioni in grado di migliorare l’Italia e i paesi dell’UE.

Non è solo sufficiente difendere la nostra identità e il posizionamento dei nostri prodotti, se non si è in grado di pensare ad un effettivo dialogo con gli altri attori della grande macchina decisionale e se soprattutto la politica italiana non cerca di dare la giusta importanza a questo momento democratico, rapportandolo principalmente a dinamiche strettamente nazionali. Tale scarso interesse, testimoniato dai molti leader candidati che non andranno a ricoprire il seggio, è sicuramente legato alla personalizzazione della politica, dove ad emergere non è più l’ideologia ma il leader di partito, ma tutto questo non giova agli elettori, i quali saranno portati ad attribuire all’elezione non il giusto peso in quanto la politica non è la prima a farlo.

Sarebbe quindi necessario che l’elettore iniziasse a conferire il giusto valore a questi processi democratici; solo in questo modo può cambiare l’atteggiamento della politica e di conseguenza riqualificare il nostro territorio, bisognoso di interesse, soluzioni, risposte ma anche di persone che abbiano la capacità di porre le domande giuste al momento giusto. Occorre quindi costruire una consapevolezza comune delle scelte che influiranno sulla vita politica italiana, della nostra identità territoriale, la quale rischia di essere ignorata e abbandonata al proprio destino se non la si riconosce effettivamente come parte di un’unica grande identità europea. D’altra parte, non può esistere un io senza un tu, così come non possiamo sottrarci da un dialogo proficuo con le altre identità politico-territoriali, funzionali e importantissime anche per la nostra identità che può essere riconosciuta solo come una parte fondamentale di un qualcosa di più grande.

ANDREA ALBANESE