A proposito di dirigenti Società

Una delle riforme vere del sistema pubblico è consistita in quella che, anche da dirigente statale, definivo come la fine del diritto amministrativo. Cioè come la fine di una organizzazione piramidale delle competenze e delle responsabilità in tutte le pubbliche amministrazioni: dello Stato propriamente detto, degli enti locali, degli enti pubblici e così via.

Nell'organizzazione amministrativa tradizionale, facente capo alla legislazione del 1865 e mai modificata nella sua essenza, il vertice aveva il potere di avocazione: aveva cioè il diritto di dire l'ultima parola in ordine a qualsiasi argomento si dovesse decidere. Per vertice si intende comunemente il potere politico, meglio il titolare del potere conferito democraticamente. Si pensi al sindaco, al ministro, allo stesso presidente del consiglio. Fino al 1993 un vertice (poniamo un ministro) aveva il potere di avocare una pratica, cioè di imporre ad un direttore generale il contenuto della pratica stessa.

Con la riforma del 1993 viene generalizzata una fondamentale innovazione contenuta nella legge 142 del 1990, quella che riorganizzava la vita degli enti locali, sostituendo la famosa legge comunale e provinciale. La 142 aveva stabilito, in attuazione della Costituzione repubblicana, la separazione tra la attività di indirizzo e la attività amministrativo-gestionale.

Il consiglio comunale è titolare della attività di indirizzo, approva cioè il programma, ma la realizzazione mediante atti e provvedimenti amministrativi è compito esclusivo dei dirigenti. I quali sono sottoposti (dovrebbero essere sottoposti) ad un sistema di controlli per verificare la correttezza (tecnica e giuridica) della loro produzione, nonché della consistenza della stessa in termini di produttività. Giammai è consentito che qualsivoglia soggetto della catena di comando comunale, a livello di rappresentanze democratiche, possa sostituirsi ad un dirigente. Nel caso un dirigente adotti un comportamento che possa sembrare non collaborativo, l'unica possibilità offerta al vertice politico è l'allontanamento del dirigente.

Titolare del potere di firma di un provvedimento amministrativo, cioè di un provvedimento emesso a nome dell'Amministrazione Comunale, d'ufficio o su domanda di un interessato, è esclusivamente il dirigente. Qualunque atto o provvedimento avente un contenuto di gestione che fosse firmato dal sindaco o da un assessore sarebbe nullo.

E, allora, le ordinanze, i manifesti?

Il prossimo 2 novembre c'è la commemorazione dei defunti. Bisogna fare in modo che i beneventani, legatissimi al culto dei morti, possano andare comodamente a Cimitero. Chi fa che?

La Giunta individua l'obiettivo da raggiungere (facilitare i tempi di percorrenza, escludendo il traffico privato che genererebbe solo caos; approfittare della circostanza per far entrare qualche soldino nel bilancio dellAMTS - ovvero fare un omaggio ai cittadini che pagano le tasse), il dirigente redige un provvedimento nel quale stia scritto da che ora a che ora è inibito l'accesso alle auto private, da che ora a che ora i fiorai possono passare con il furgoncino per rifornire i punti di vendita davanti al cimitero, che l'AMTS provvederà a organizzare un adeguato servizio di trasporto con i propri bus, e così di seguito. Né l'assessore e né il dirigente comunale dirà quante corse devono fare gli autobus o dove devono fermare: questo è compito dell'autorità di gestione e dei dirigenti dell'AMTS.

Né è corretto fare ricorso alla ordinanza da parte del sindaco. Il potere di ordinanza spetta al sindaco in quanto ufficiale di governo: quando, cioè, si sostituisce allo Stato per gestire con prontezza le emergenze (esempio graditissimo a tutti: la chiusura delle scuole causa neve).

In ogni comune d'Italia si imita una funzione parlamentare e una funzione di governo. La catena di comando (e delle decisioni) somiglia a quella dello Stato. Al posto di Parlamento, Governo, presidente del consiglio del ministri ci sono il consiglio comunale, la giunta e il sindaco.

Il sindaco non ha bisogno della fiducia del consiglio, perché è eletto direttamente dagli elettori. Può tuttavia cadere se la metà più uno dei consiglieri si dimette. E, tuttavia, dalla elezione diretta non è investito di funzioni amministrative proprie. E' solamente il responsabile principale della attività di gestione (di competenza della Giunta), che consiste nel recepimento degli atti di indirizzo, di competenza del consiglio comunale, e nella elaborazione di direttive ai dirigenti, ai quali spetta la assunzione, sotto la personale responsabilità, di atti e provvedimenti capaci di dare attuazione a quanto l'organo di gestione ha ufficialmente proclamato si debba realizzare.

Se questo è il sistema, è evidente che ai dirigenti deve essere garantita una assoluta indipendenza da qualsivoglia contaminazione politica.

Le legge del '93 fu fatta con l'intenzione di creare una dirigenza pubblica competente e autorevole, indipendente dal potere politico e, perciò, direttamente responsabile dei propri atti e provvedimenti. Ma, soprattutto (ricordiamo che stiamo in piena rivoluzione di Tangentopoli), con questo nuovo sistema si volle tutelare l'autorevolezza degli organi politici, allontanandoli nella maniera più assoluta dalla tentazione di prender parte a procedimenti che potessero poi coinvolgerli come esponsabili (civilmente e penalmente).

Desta più di qualche perplessità, quindi, l'abitudine, sempre più diffusa, di ricorrere per la copertura di posti di dirigente a figure estranee alla burocrazia comunale, soprattutto quando sono palesemente espressione di lottizzazione politica investendo, poi, soggetti che hanno ricoperto o, addirittura, ricoprano posizioni in organi di gestione di partiti politici e sindacati.

I posti di dirigente si coprono facendo i concorsi. La nomina degli esterni è assolutamente eccezionale: in tal caso si prende uno che sia già dirigente da qualche altra parte, non si fa dirigente un pur onorevole cittadino. La dirigenza pubblica in Italia è professionale, deriva cioè da una qualificazione lavorativa.

Dirigenti interni mortificati dalla prassi dell'esterno sono, il più delle volte, demotivati e, se pure non remano contro, non si dannano certo per aiutare la barca.

Dirigenti con le carte in regola sono, peraltro, garanzia per sindaci e assessori di non finire tanto facilmente sul giornale con la fotografia scattata in qualche caserma.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it