Classe dirigente sparpagliata Società
A marzo 2010 si voterà per il rinnovo del governo regionale. Non solo del consiglio, anche del presidente.
E' noto che il parlamentarismo (cioè il sistema attraverso il quale l'elettore vota i membri di una assemblea, i quali poi hanno il potere di eleggere e sostenere un governo ivi compreso il premier) garantiva una funzione aggregante ai partiti politici costituiti sul territorio. La elezione di un rappresentante locale legato ad un partito ideologicamente affine alla cultura dell'elettore teneva piuttosto sullo sfondo la (successiva) scelta del capo.
Apparentemente nessuno ha cambiato il sistema parlamentare, cioè il sistema che vede il parlamento come centro motore ed equilibratore del processo di formazione non solo delle leggi ma anche delle élite governative. Di fatto, grazie alle modifiche apportate alle leggi elettorali, si è instaurato in Italia un sistema che somiglia molto al presidenzialismo. E' vero che non votiamo il premier, ma è altrettanto vero che la sola candidatura di Silvio Berlusconi attrae masse di voti che, poi, vanno a beneficio di fortunati soggetti talora misteriosamente candidati.
Se, però, nulla è apparentemente innovato per la struttura costituzionale del governo centrale, dapprima nei comuni e poi nelle province e nelle regioni è stata introdotta la elezione diretta del sindaco e dei presidenti ivi compreso il presidente della Giunta Regionale (altrimenti detto governatore).
Alle elezioni regionali che si terranno tra meno di 180 giorni la Campania è vista come un terreno di esercitazioni decisive per il destino dei due grandi partiti che capeggiano le due coalizioni che da quindici anni si sfidano, con alterne fortune, in Italia.
La Campania, peraltro, si connota per essere l'ultima roccaforte a guida post-comunista nell'Italia meridionale. Gli esiti delle ultime tornate elettorali per le europee nonché per le elezioni di sindaci e presidenti di province fanno presagire un esito favorevole per chi sappia mettere in atto un assalto fortemente sostenuto anche dal centro. In altre parole, la caduta di Bassolino (e del bassolinismo) è, per il Popolo della Libertà, l'obiettivo centrale di tutta la vicenda elettorale. Lo sa bene il Partito Democratico, alle prese con il rinnovo delle cariche dirigenziali attraverso l'imminente fase congressuale. Nelle assemblee non si discute solo del duello Bersani-Franceschini, ma anche di chi dovrà affrontare la battaglia regionale con la missione di sfidare il pronostico ad oggi favorevole al centrodestra.
Il quale centrodestra non sembra preoccupato di apparire impreparato, incerto e talora francamente sparpagliato.
Se la provincia di Benevento può valere come laboratorio significativo, sembrerebbe che la classe dirigente del centrodestra non abbia l'esatta percezione della posta in gioco. Che non è la presidenza della Regione o la conferma (impossibile) della miracolosa quaterna del 2005. Ma è, appunto, un passaggio del Mar Rosso, vale a dire un consolidamento di potere e di autorità che potrebbe essere speso per una durata di notevole significato politico non solo a livello locale, ma anche in quella contrattazione permanente con il leader Berlusconi e con l'alleato necessario che è la Lega Nord.
Insomma finora tutti quelli che sono diventati deputati e senatori (e parlamentari europei) hanno beneficiato del traino dell'uomo solo al comando. Adesso devono dimostrare che, correndo da soli senza la spendibilità da parte dell'elettore del nome del capo, possono riuscire nell'impresa che i pronostici assicurano possibile.
Ebbene, in preparazione di questa fase decisiva per gli interessi del centrodestra, a Benevento il Popolo della Libertà sembra non aver trovato nessun tipo di collante per tenere aggregate le due anime storiche (AN e Forza Italia) e la terza anima (di provenienza UDC o comunque tardo-post-democristiana). Al punto che proprio questa terza anima ha dato vita, in consiglio comunale, ad un gruppo di Forza Italia.
Non si tratta, io credo, di una sparata dei giocolieri dei simboli dei partiti trapassati. E' stato, forse, l'approfittamento di una evidente incertezza della guida del PDL, che gli ex di AN non hanno nessuna voglia di consolidare. Il nome di Forza Italia è stato dissotterrato quando era venuto fuori il nome di Nazzareno Orlando come capogruppo del PDL a Palazzo Mosti. Chi può non volere un moderato come Orlando a tenere insieme un gruppo sicuramente non troppo omogeneo? Non è che quelli di Forza Italia abbiano avuto l'ispirazione da qualche ex AN un po' più bellicoso di Orlando?
Sta di fatto che il PDL beneventano tutto sta facendo meno che pensare ad un a strategia che possa attribuire a qualche suo esponente un ruolo cruciale nella riconquista di Santa Lucia.
Qualche protagonista di oggi sa bene che nel 1995 (senza fare il Polo, ma lavorando uniti) il Sannio contribuì alla vittoria di Rastrelli. Se, poi, si preparò il terreno per il regno di Bassolino è storia fresca di stampa.
Chi aspira a essere determinante per una vicenda dai connotati così significativi deve sapersi investire di tutto il carico atto a rappresentarlo come appartenente a quella classe dirigente che sia guida per gli amici e punto di riferimento anche per avversari.
La battaglia elettorale del 2010 potrà segnare quella svolta tante volte sognata di una classe dirigente del Sud che, nel Sud, gioca da protagonista. Accettando partenariati e inquadramenti in strutture articolate su diversi livelli, ma rifiutando il rango di semplice delegato.
Se ci si confina nel gioco provinciale dell'autosufficienza, è garantita solo la sterilità.
MARIO PEDICINI
mariopedicini@alice.it