Dalle polemiche alla concordia Società

Il sindaco che governerà Benevento fino al 2016 uscirà da una battaglia inedita per i toni e per gli argomenti. Il preludio è stato pirotecnico ma, come accade con i fuochi di un bombardamento, non ha prodotto proposte, né ha fatto intravvedere l’orizzonte del dopo.

Era prevedibile che la discesa in campo di Carmine Nardone avrebbe sparigliato i giochi, disturbando la partita tra centrodestra e centrosinistra. In realtà, come abbiamo titolato sul numero 5 di Realtà Sannita, ha provocato un tsunami.

Ha costretto Nunzia De Girolamo a cambiare cavallo. Ritirato il nome di Roberto Capezzone, esposto (imprudentemente? sapientemente?) ad una bruciatura, ha esibito l’uomo nuovo Raffaele Tibaldi, dato per indispensabile anello della catena di comando (una volta si diceva filiera) neo-socialista impersonata dal presidente della Regione Stefano Caldoro. In effetti Tibaldi proviene da una famiglia che ha dato notevoli protagonisti della vita amministrativa in quota sole nascente e sol dell’avvenire. Non era mai apparso in pubblico come amico personale di Stefano Caldoro, come avevano fatto Davide Zarro, Clino Bocchino e lo stesso Umberto Del Basso De Caro. Anzi, aveva mostrato un tratto, per così dire, democristiano, entrando, da ultimo, nella famiglia mastelliana dell’Udeur.

Se solo si pensasse che, così facendo, Nunzia De Girolamo rosicchia voti all’area centrista-cattolica, si avrebbe la sensazione di una risposta alla manovra “avvolgente” di Nardone.

Sul lato del centrosinistra, è fuori discussione che la manovra, in un primo momento fallita, successivamente andata in porto, di sbalzare dalla sedia di Palazzo Mosti durante la campagna elettorale il sindaco Fausto Pepe, è anch’essa una conseguenza dell’operazione Nardone di raccolta di consensi in dote a personaggi che, durante i tribolati cinque anni di governo Pepe, sono stati alleati non sempre disinteressati.

Il nervosismo palesato da De Girolamo e Pepe che, senza Nardone, avrebbero duellato a singolar tenzone, è sintomatico di un errore comune. Né Pepe, né De Girolamo hanno saputo comprendere che i dibattiti sul futuro organizzati da Viespoli e le “fissazioni” di Nardone sull’innovazione erano elementi che potevano fecondare qualcosa di nuovo: il superamento, cioè, di antichi steccati. Non solo. Di seguito alla legittima soddisfazione di aver portato Berlusconi a Benevento, anzi proprio per questa intenzione di impersonare un ruolo di ambasciatore, gli elettori di quella che fu Forza Italia non hanno intravisto idee, progetti, attenzione ai protagonismi della società. In Consiglio Comunale esponenti “storici” del berlusconismo si erano coagulati con quelli di AN, in controtendenza rispetto all’intransigenza della coordinatrice provinciale.

Pure Pepe aveva sottovalutato non dico la libertà, ma l’irrequietezza, di alcuni sostenitori della sua maggioranza, al punto che stenta a prendere atto della realtà che è la fine anticipata della sua amministrazione. Ha snobbato l’invito “a fare una pazzia”, sono stati gli altri a fargli la “pazziella”. Ha creduto che, sbaragliati gli aspiranti alle “primarie”, gli sarebbe bastata la tattica dei piccoli passi e delle programmate inaugurazioni, sventolando ad intervalli regolari ora l’Unesco ora la piattaforma logistica.

Per ora la campagna elettorale si sta giocando con argomenti che di politico hanno poco. Prevale un nervosismo ai limiti dell’isteria. Nardone è diventato, quasi un Berlusconi ingrassato, bersaglio di tutte le contumelie, traditore e incoerente. Lo accusano di essersi messo con Mastella, di non essere più comunista, anzi di essere comunista che fa l’amore col fascista. Tutte cose che sono state da tempo legittimate dai pensatori politici più raffinati (si dà il caso che, a un certo punto, Fini – e dico Gianfranco Fini – sia diventato la stella polare di larghe fette di sinistra) vengono riportate indietro nel tempo per tenere chiusa l’attenzione sul versante della delegittimazione. Non basta mangiarsi le mani e dire che Nardone ha rotto le uova nel paniere?

Viespoli con chi doveva andare? Con Nunzia si erano trattati a pesci in faccia. Pepe, in nome della coerenza, avrebbe sicuramente rifiutato. Quindi, se pure non fosse sceso in campo Nardone, almeno Viespoli lo si poteva prevedere protagonista di qualche aggregazione. Si è sempre detto che la colomba Pasquale è tipo che non si fa intrappolare. Da diciassette anni è protagonista, alle volte anche scomodo: veramente Pepe e Nunzia se l’erano dimenticato?

Da inguaribili ottimisti, noi pensiamo che bisogna mettere da parte i comprensibili risentimenti e trovare il modo (magari con un solenne accordo tra i quattro candidati sindaci: il quarto è Medici, che si tiene “coerentemente” a sinistra) di abbandonare gli argomenti moralistici e le rivendicazioni su cose del passato per aprire, finalmente, il dibattito sullo scenario che ciascun raggruppamento immagina di poter rappresentare per i prossimi cinque anni.

Al di là di fantasie e di luoghi comuni, sul tappeto sono da decenni alcune questioni cruciali. Ne cito una sola. La ricostruzione del centro sventrato dai bombardamenti del 1943.

Va spiegato non solo ai turisti, ma anche ai quarantenni e ai trentenni che andranno a votare che dove ci sono le spianate e i ruderi attorno alla Cattedrale lì c’era il cuore pulsante della città.

Un concorso internazionale di idee e una cantierizzazione sollecita darebbero concretezza agli slogan del lavoro e al generico tema della valorizzazione del centro storico. Prima bisogna ricucire, prima bisogna avere il coraggio culturale della contaminazione del moderno in dialogo con l’antico e, poi, verrà una “reconquista” di ruolo. L’orgoglio del cittadino comune sarà ricondotto a fare scelte propositive.

Con gli insulti e le maledizioni non si va da nessuna parte. I dispiaceri devono passare. Vogliamo vedere gente all’opera per sfidare (non per demolire) l’avversario. In fondo a Palazzo Paolo V (sì, bisogna tornare allo storico Palazzo di Città) ci andranno quelli che vinceranno e quelli che perderanno. E lì dovranno lavorare insieme, ognuno in un ruolo ben chiaro, nel segno di quel motto che,per colpa del latino, a volte si dimentica. Concordes in unum.

MARIO PEDICINI

mariopedicini@alice.it