EDITORIALE DI MARIO PEDICINI Società
Non c’è ancora la grande fiammata e, tuttavia, da molti mesi si discute delle candidature a sindaco di Benevento. Si voterà, infatti, la primavera prossima, pare ormai deciso dopo le elezioni politiche.
La città di Benevento è amministrata da una coalizione formata dai partiti della Casa delle Libertà. A dicembre 1993, la “svolta” di Viespoli avvenne all’insegna di una lista civica. L’esito del ballottaggio partorì uno stato di necessità, che non consentì, neanche dopo la discesa in campo di Berlusconi e la vittoria alle politiche del 27 marzo 1994, l’inserimento organico del partito di Viespoli nel Polo della libertà. Di qui, la continua fuga in avanti di Viespoli nello slogan “Oltre il Polo”.
Le elezioni amministrative anticipate, provocate da una mossa del centrosinistra riuscita nella “pars destruens” ma debole nella progettazione della raccolta del consenso, videro nel 1996 un Viespoli più politicizzato, schierato e riconoscibile nel processo di inserimento organico nel centrodestra.
Operazione del tutto completata con la candidatura di D’Alessandro nel 2001, sostenuta da tutti i partiti schierati con Berlusconi anche a livello nazionale.
E’ perfettamente comprensibile, quindi, che si sia avviata nel centrosinistra la discussione sulla candidatura a sindaco. Dopo i successi alle europee e alle regionali, il centrosinistra ritiene di avere buone chances per poter interrompere l’esperienza della destra a Palazzo Mosti. E per riuscire nell’impresa sa che la figura del candidato sindaco può essere decisiva.
Mi pare, tuttavia, che, da una parte e dall’altra, nel momento in cui si esaltano (e talvolta si esasperano) i confronti personali, si sottovaluti la “missione” che il sindaco, di qua e di là, deve vedersi affidata dalla coalizione.
Non si tratta solo del “programma” che, per alcuni partiti, rappresenta una variante tattica per intraprendere la discussione sugli equilibri contabili delle formazioni di governo, più che una sincera intenzione di dettare il ritmo delle cose da fare. Si tratta, invece, della ispirazione culturale e politica alla quale far capo per illuminare di una luce di prospettiva le cose che si propongono di fare.
Il Comune di Benevento ha una sua legge fondamentale. E’ lo Statuto del 1991 che, se pure un po’ “rovinato” dalle modifiche successiva fino all’ultima del 25 luglio 2002, stabilisce alcuni punti fermi che qualunque documento programmatico deve tenere presenti.
L’art. 6 dello Statuto afferma che il Comune di Benevento riveste un ruolo di propulsione dello sviluppo sul territorio. Esso, cioè, non deve badare solo agli interessi degli abitanti della città, ma deve sostenere progetti di cooperazione e di valorizzazione di altre soggettività, nel momento in cui deve assicurare “servizi sociali a scala provinciale”. Il Comune di Benevento, insomma, è qualcosa di più di un “primus inter pares” nei confronti degli altri 77 comuni della provincia.
Questo ruolo, a mio giudizio, non è stato svolto con la necessaria autorevolezza, proprio sul terreno della organizzazione burocratico-funzionale dell’Ente.
Non risultano attivati, ad esempio, gli istituti di partecipazione, che avrebbero potuto rappresentare lo spunto per una moltiplicazione presso gli altri comuni, in modo da far attecchire una cultura della partecipazione. Penso ai vantaggi che avrebbe avuto la vivacità del dibattito politico se si fosse fatta partire la Conferenza Economica Cittadina o se si fosse dato avvio alla Conferenza degli Enti e degli Operatori Culturali o il Forum dei cittadini previsti dall’art.55 del vecchio statuto (ora art. 74).
Quando si parla di programma, insomma, si deve partire dallo Statuto. Sia per realizzarne la sostanza (fino al punto da dimostrarne la insufficienza: e, quindi, passare ad un suo aggiornamento), sia per trarre dalle sue disposizioni – che sono disposizioni normative, non meri desideri – la necessaria coerenza istituzionale con gli impeti ideologici ( o solamente ideali).
In altri termini, il candidato sindaco si deve misurare con lo Statuto e con le scelte programmatiche della coalizione che lo propone al giudizio dei cittadini. Non è del tutto corretto, quindi, voler sempre asserire che c’è un prima e un dopo: prima il programma e poi l’attore adatto a recitare la parte di protagonista; prima il fuoriclasse e poi il vestito programmatico cucito su misura.
Identificata la “missione” che la città è chiamata a svolgere nel medio periodo, partiti e candidati potranno differenziarsi nella scelta delle priorità e offrire alla considerazione degli elettori proposte concrete.
Di qui a maggio non c’è un tempo infinito. Ce n’è, tuttavia, a sufficienza per stringere i tempi della discussione su ipotesi concrete di programmi e di protagonisti ad essi coerenti.
MARIO PEDICINI