Fondo di Mario Pedicini Società

Armando Zeoli, “il fioraio di Benevento”, restò perplesso e quasi offeso, allorché, recandosi in Calabria per motivi di vacanza, decise di chiedere una informazione sulla strada da prendere per arrivare a destinazione.
Sotto un ponte, per difendersi dal sole, seduto sopra una sedia, c’era un signore di età incerta, il quale, senza troppo scomporsi, così rispose ai turisti in macchina: “Quannu nun sapiti, pecché vi muviti?” Mi è venuto in mente il racconto di Zeoli, assistendo davanti al televisore alla sceneggiata napoletana in trasferta a Locri. Sapete tutti che in Calabria ogni tanto ci scappa il morto ammazzato. A Locri hanno ammazzato pure un politico. Non è il primo e non c’è da scandalizzarsi. In democrazia, infatti, i politici sono dei comuni cittadini, non appartengono a caste, intendendo per caste quei pezzi di società titolari di particolari privilegi e quindi anche oggetto di riconoscimento (e di immunità) sociali.
Con questo voglio dire, esplicitamente, che non si commette peccato e non si infanga nessuna memoria, se si ragiona sul fatto che, se c’è una malavita organizzata e molto diffusa, può accadere che la organizzazione malavitosa abbia interesse e abbia la concreta possibilità di inserire nei processi democratici propri esponenti (o propri rappresentanti, o propri referenti). Ad ogni recrudescenza, il Paese istituzionale scatta come un sol uomo. Dapprima si invocano e si promettono misure straordinarie, per lo più l’arrivo dell’Esercito. Io ho l’impressione che chi parla di esercito sia gente che pensa al Risorgimento e, più che all’Esercito Italiano, sogna i garibaldini: una gita veloce e spicciativa. Dimenticavo. Si proclama, prima di tutto, la più profonda fiducia nella Magistratura e nelle forze dell’Ordine. Poi si comincia a criticare, facendo l’elenco dei morti ammazzati non vendicati dal rigore della legge (non si riesce a trovare la mano assassina, non si riesce a condannare). Poi compaiono le liste dei ricercati, a dimostrare che “si sa chi sono”, ma che per le indagini occorrono mezzi che non ci sono, sofisticherie costose e, immancabile, mancano i soldi per le fotocopie. Al che uno potrebbe dire: scrivete di meno e riuscirete a fare tutte le fotocopie che servono, ma questa è un’altra storia.
Da un po’ di tempo, si verifica una nuova liturgia. Si muovono le Istituzioni. Sindaci con tricolore al collo, giunte al completo, preti che disdegnano la tonaca si fanno accompagnare da “spontanee” comitive di pacifisti, “sinceramente democratici” e “preoccupati” di generi diversi. Il messaggio televisivo di tanta energia democratica reca due segnali: • al popolo della zona colpita dal fatto di sangue dovrebbe dire: “Non vi preoccupate. Non starete soli: ci siamo qua noi” • al resto della nazione dovrebbe assicurare: “Come ci siamo mossi di là, siamo pronti a muoverci pure di qua, sappiamo che da voi non succederà mai, ma, col coraggio che abbiamo dimostrato andando in Calabria, potete stare certi che verremo anche a Bologna o a Milano o, appena dato uno sguardo alla carta geografica per capire dove sta, arriveremo pure nella val di Susa”.
Il fatto nuovo è la faccia tosta di chi non sa che pesci pigliare a casa propria e va a dettare ricette a casa d’altri. La gioia dei cronisti del TGR Campania nel raccontare le epiche gesta della Iervolino scesa in Calabria a portare una parola di speranza alla sfortunata Calabria è l’esilarante conseguenza di una perdita totale del senso del ridicolo. Non solo Napoli piange i suoi morti ammazzati e nessuna statistica riuscirà mai a dimostrare che c’è qualche barlume di speranza che la mattanza rallenti. Napoli è la capitale del Sud i cui dirigenti si sono liquidati stipendi a piacere e pare che stiano tutti al loro posto. Stanno sicuramente al loro posto sindaco, assessori e controllori che avrebbero dovuto impedire prima e punire dopo. E questi stessi signori vogliono andare a raccontare ai calabresi come ci si difende dalla illegalità? Forse Armando Zeoli, “il fioraio di Benevento”, capirà adesso il senso atavico della risposta del signore di età incerta sotto il ponte a difendersi dal sole: “Quannu nun sapiti, pecché vi muviti?”
Questa frase andrebbe scritta su tutti i ponti della Autostrada Salerno-Reggio e in tutte le stazioni ferroviarie da Battipaglia a scendere. Per cortesia, fermiamoci un poco. Siamo in troppi a voler insegnare agli altri come si fa e non prendiamo la via di cominciare a fare qualcosa perché cambi tutto quel che deve cambiare a casa nostra. La illegalità non sono solo i morti ammazzati. E’ illegalità tutto quello che costringe il cittadino singolo a trovare scorciatoie. La lentezza di un procedimento amministrativo, l’arroganza di un vigile urbano, l’inefficienza di un ufficio giudiziario, la goffaggine di amministratori che proclamano e non fanno, di comuni che non sanno far pagare le tasse ai loro cittadini e rapinano con le macchinette fotografiche automobilisti di passaggio: è questo il terreno di coltura della illegalità che ci pare tanto normale, essendo divenuta abitudine consolidata, che non ci accorgiamo di non avere titoli per andare a dare solidarietà a chicchessia.
Si pensi allo scandalo della questione rifiuti. Si sa solo che c’è chi ci ha guadagnato, che le istituzioni sono state tutte certificate come incapaci (sono state tutte commissariate), e però ogni tanto qualche “voce autorevole” ci viene a raccontare che la camorra s’è inserita nel business, che la monnezza si accumula, senza che si sia costruito un solo inceneritore e senza che si faccia niente per avviare la raccolta differenziata. E i rappresentanti di una tale catastrofe istituzionale che idea si fanno venire? Di andare a portare una parola di speranza in Calabria. Ah, dimenticavo. Organizzano anche le notti bianche, e c’erano la Lecciso e padre Zanotelli.

MARIO PEDICINI info@mariopedicini.it